Quando non si è granché esperti di Bitcoin può capitare di commettere qualche errore. È forse più grave quando però, da giornalisti, non ci si preoccupa neanche di verificare quanto si riporta. È il caso dei 34 milioni di Bitcoin sequestrati dalla Repubblica (italiana), per una notizia che – senza verifica alcuna – è stata riportata dalla Repubblica (il giornale). A darla è il capo dei pm del Centro Direzionale Nicola Gratteri.
Un brutto caso che vede coinvolte mafie, incursioni e assalti ai sistemi informatici della procura e in ultimo 34 milioni di Bitcoin, che come è noto ai più non possono essere sequestrati perché semplicemente non esistono. Con ogni probabilità si tratta di 34 milioni di euro in Bitcoin. Un errore da poco, diranno in molti. Tuttavia non possiamo che ricordarci della maestra che, alla risoluzione del problema, ci urlava di indicare l’unità di misura corretta.
Approssimazione da parte della stampa tradizionale che la dice lunga anche sulla qualità degli attacchi che portano, quasi quotidianamente, a Bitcoin. Se non si ha neanche contezza del numero di Bitcoin in circolazione, che può essere verificato in pochi secondi anche dai meno esperti, come si possono prendere per buone le altre notizie, le altre teorie e gli altri impianti puntualmente utilizzati per attaccare il mondo che seguiamo su queste pagine ogni giorno.
34 milioni, quasi più assurdo della vendita della fontana di Trevi
Sospettiamo, perché ad oggi nessuno si è preoccupato di indagare o di riportare informazioni corrette di prima mano, che si tratti di 34 milioni di euro in Bitcoin e non di 34 milioni di Bitcoin. Un errore da poco, che sposta di 104.000 volte la quantità effettiva di valori sequestrati.
Di più, secondo quanto riportato da Repubblica e attribuito alla viva voce di Gratteri, sarebbero stati sequestrati nel dark web, qualunque cosa questa voglia dire.
Da un lato non c’è che da applaudire al lavoro della procura e del Centro direzionale nello sgominare una banda importante dell’universo del crimine organizzato. Dall’altro, e puntiamo il dito senza problema alcuno verso i colleghi di La Repubblica, si fa una pessima informazione, riportando virgolettati senza aggiungere alcun commento e nessun chiarimento.
Mentre si parla – e lo sappiamo bene perché trasmettiamo per ore e ore sul nostro Canale YouTube e anche sul nostro Podcast – si commettono più errori che mentre si scrive. Tuttavia, sarebbe anche compito del giornalista cercare di chiarire soprattutto gli aspetti più errati di certe dichiarazioni. E anche spiegare cosa sia questo fantomatico dark web dal quale si potrebbero sequestrare Bitcoin.
Scusate, ma non ci avevate detto che Bitcoin era insequestrabile?
In realtà lo è, tant’è che è chiaro (e viene confermato dagli stessi chiamati in causa) che è servita la collaborazione di uno dei soggetti coinvolti, che aveva con ogni probabilità accesso alle chiavi che controllavano quegli indirizzi.
Quindi sì, Bitcoin continua a essere insequestrabile a meno che non si recuperino le chiavi, con o senza la collaborazione dei criminali mesi alla sbarra. Anche questo si sarebbe potuto spiegare, ma sarebbe forse aspettarsi troppo da chi crede che esistano 34 milioni di Bitcoin. No, non esistono, e tutti possono verificarlo in pochi secondi.
A dire il vero l’ errore sarà del giornalista o del titolista perché in più di un intervista il magistrato ha parlato di questo sequestro. In relazione delle spese per qualcuno folli per la intercettazioni telefoniche. E non c’era dubbio che si parlava di 34 milioni di euro in Bitcoin.
E infatti l’articolo, sig. Cracolici, è di critica alla stampa. L’articolo di La Repubblica riporta “34 milioni di Bitcoin” sia nel titolo sia nel corpo dell’articolo, tra le altre cose in virgolettato.