Dopo l’ultimo sequestro messo in atto dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ai danni del gruppo criminale Prince Holding Group, capitanato dall’imprenditore cinese Chen Zi (anche soprannominato “Prince Chen” o “Vincent”), il governo USA ha ribadito il suo primato come maggior detentore istituzionale di Bitcoin (BTC) al mondo. Al secondo posto siede la Cina, che ora però vede allungare le distanze dalla superpotenza economica rivale, nonostante le ampie scorte controllate da Pechino.
L’America aggiunge altri $15 miliardi in BTC alla collezione rafforzando la sua egemonia crittografica, senza contare i fondi accumulati dagli emittenti ETF statunitensi che però rientrano in una categoria a parte in quanto asset gestiti da entità private. In questo articolo approfondiamo l’ultimo colpaccio di Washington e facciamo le pulci ai suoi wallet federali, per poi analizzare a quanto ammonta ora il nuovo bottino del Fort Knox digitale.
Governo USA: sequestro RECORD da $15 miliardi in Bitcoin
Si tratta della confisca di Bitcoin più grande della storia: un’operazione record da parte del DOJ, che però lascia aperti ancora molti punti interrogativi. Come anticipato nell’articolo del nostro caporedattore GG pochi giorni fa, ancora non è chiaro come effettivamente il Governo USA sia riuscito ad entrare in possesso dei 127.271 BTC, pari ad un controvalore di $15 miliardi, fino a poco fa detenuti nei portafogli della società Prince Holding Group.

Un altro dubbio riguarda lo status del leader Chen Zhi, che a quanto pare dovrebbe essere ancora in libertà, nonostante il mandato di cattura dall’America ed il congelamento dei beni del gruppo. Ciò che sappiamo è che Prince Holding Group gestiva una fitta attività criminale basata in Cambogia, con contatti in Cina, Malesia, Filippine ed altre nazioni del sud-est asiatico, specializzata in una rete complessa di truffe e riciclaggio di denaro.
Si parla di frodi sentimentali “pig butchering”, finti investimenti in criptovalute, ed anche traffico di essere umani, con vittime reclutate attraverso false offerte di lavoro e poi costrette a lavorare in dei call center in Cambogia. La saga si infittisce se pensiamo che alcuni indirizzi legati alla rete criminale, avevano movimentato 120.000 BTC nel 2020 provenienti da truffe, mercati darknet e vari hack.
Come ha fatto il governo USA a recuperare quei fondi?
La spiegazione più plausibile sembra arrivare da un tweet riportato dal co-fondatore della mining pool cinese F2Pool. Secondo quanto emerso, una parte degli indirizzi legati a Prince Holding Group, potrebbe essere riconducibile a una vulnerabilità critica nella generazione delle chiavi private, documentata da Milk Sad.
Si è scoperto in pratica che oltre 220.000 indirizzi (tra cui appunto una parte di quelli dei truffatori) sono stati generati con chiavi private non puramente casuali. Dunque, è possibile che il Governo USA, scoprendo questa falla a livello di entropia, sia riuscito a bucare i wallet di Chen Zhi tramite operazioni di brute-forcing, pur non avendo catturato lo stesso.
Questo ci ricorda quanto sia importante il concetto di entropia nella sicurezza crittografica: se un wallet è creato in maniera troppo deterministica, può essere attaccato in maniera relativamente semplice.

Il wallet Bitcoin del Governo USA
Con l’ultimo sequestro, il Governo USA ha aumentato il totale dei Bitcoin detenuti a 324.780 coins, per un valore che ad oggi supera i $36 miliardi. Tutte le monete che fanno parte del bilancio federale, arrivano da vecchie confische: Bitfinex Hack, James Zhong, Potapenko/Turogin e Silk Road, a cui ora si aggiunge l’ultima operazione su Chen Zhi.
Nessuno BTC è stato acquistato direttamente con le casse del Governo americano, cosa che probabilmente rimarrà tale anche nel prossimo futuro, nonostante l’ambizione formale di creare una riserva strategica nazionale in Bitcoin. C’è da sottolineare poi che gli ultimi fondi sequestrati, potrebbero dover essere restituiti alle vittime, anche se per il momento il DOJ non si è espresso in merito.
Ecco uno spaccato preciso del numero di Bitcoin pignorati in ogni operazione federale:
– Chen Zhi: 127.195,65 BTC
– Bitfinex Hack: 106.910,50 BTC
– Silk Road: 81.988,37 BTC
– Potapenko/Turogin: 667,62 BTC

Il distacco con la Cina
Anche la Cina è un grosso detentore di Bitcoin con circa 190.000 BTC, pari a $21 miliardi. Così come in USA, anche in questo caso le monete derivano da operazioni di sequestro in campi come il mining di Bitcoin e frodi online. Fino a poco fa Pechino si contendeva con Washington il primo posto nella classifica delle entità istituzionali per maggior numero di crypto in grembo, ma ora il distacco è aumentato in modo significativo.
A seguire, tra gli altri Paesi che detengono Bitcoin, troviamo in ordine: Regno Unito, Ucraina, Emirati Arabi, Bhutan, El Salvador, Corea del Nord, Venezuela e Finlandia. Dell’italia, non si vede l’ombra neanche con il binocolo.

Al momento gli USA si confermano il più grande Paese custode di oro digitale al mondo. Non è un dato importante in termini di valore nominale, ma piuttosto sul piano simbolico, con gli Stati Uniti che sembrano vincere la guerra fredda digitale nel mondo crypto, visto e considerando anche il sostegno dei fondi quotati in borsa che rafforzano l’influenza americana.
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