Quando abbiamo un martello, ogni problema ci sembra un chiodo. È uno – splendido – modo di dire americano che descrive magistralmente una delle tendenze più ottuse del nostro cervello. Davanti a uno strumento utile, il martello, abbiamo la tendenza a ritenerlo soluzione di ogni problema che avremo davanti.
La blockchain – o più correttamente timechain – di Bitcoin è il martello di tanti appassionati, quasi tutti. Spostare denaro? La blockchain. Avere un database monetario impossibile da riavvolgere? La blockchain. Proteggersi dalla censura? La blockchain. Sarà meglio però evitare di trasformarlo in un martello, che è molto utile per battere i chiodi e molto meno utile per vivere una società libera.
No, non si può risolvere tutto con Bitcoin
E non è un problema, a patto di comprenderlo il prima possibile. Ci sono tante questioni, politiche, che vanno combattute sul terreno della politica. Perché se è vero che abbiamo un bunker, è altrettanto vero che accettare senza resistere che ci piovano dei missili sulla testa non è comunque una buona idea. Facciamo però qualche passo indietro, perché la questione dell’estensione dei poteri taumaturgici di Bitcoin è in realtà assai vecchia. E risale anzi al 6 ottobre 2008, prima che Bitcoin vedesse la luce.
Non troverai una soluzione a problemi politici tramite la crittografia.
Messaggio che Satoshi Nakamoto recepì, rispondendo:
Sì, ma possiamo vincere una battaglia importante nella “corsa alle armi” e guadagnare territorio per la libertà per diversi anni. I governi sono bravi a tagliare la testa di network centralizzati come Napster, ma i network P2P come Gnutella o Top sembrano essere al sicuro.
Satoshi ha ragione: nonostante ci abbiano probabilmente provato già diversi governi, Bitcoin continua a funzionare senza alcun problema. Gli altri problemi però, quelli politici, non sono stati risolti e non si potranno risolvere pur avendo Bitcoin.
Bitcoin fissa un perimetro preciso entro il quale si può essere liberi. Ma – e questa è l’idea che condivido del nostro direttore Alessio Ippolito – bisogna anche rivendicare un trattamento equo alla luce del sole, come cittadini e nei nostri rapporti con lo Stato.
Si può vivere nascostamente, ma abbiamo diritto anche di farlo alla luce del sole
Le risposte che arrivano dai social riguardo questo tema sono sempre le stesse:
- Bitcoin è insequestrabile
- Quindi non possono togliermelo
- Quindi sono al sicuro
È vero, ma fino a un certo punto. Il tipo di sicurezza che viene infatti garantito da un asset insequestrabile è simile a quello di chi – con previdenza – si è costruito un bunker antiatomico.
È vero che potrà resistere anche alla terza guerra mondiale, chiuso 50 metri sottoterra a mangiare scatolette. È altrettanto vero però che la vita 50 metri sottoterra a mangiare scatolette dovrebbe essere la norma soltanto in uno scenario apocalittico.
Con un esempio più calzante: è vero che le lunghe mani dello stato non possono bloccare una transazione tra Pippo e Peppe, con uno che consegna pomodori in nero e l’altro che paga in Bitcoin.
È altrettanto vero che non vediamo motivo per essere vessati più di quanto lo siano gli altri “investitori” o detentori di asset se vogliamo invece vivere alla luce del sole.
Rivendicare la normalità
Proprio in questi giorni, in Italia, si sta consumando il dramma di un passaggio al 33% della tassazione su Bitcoin e crypto. Un doppio dramma perché da un lato certifica il nostro essere diversi, e quindi punibili. Dall’altro perché si pagherà di più rispetto al già elevato 26% previsto per i gain su altri asset.
Nascondersi nelle cantine, nei bagni degli autogrill, nel commercio di prossimità lontano dagli occhi dello stato non sarà però una vittoria. Sarà un chiudersi ancora di più al mondo, per sfuggire a una repressione che possiamo ancora combattere a volto scoperto e alla luce del sole.
Rivendicare – in un movimento che ha attirato soprattutto “strani” – la nostra normalità.
Perché – come dice il direttore Alessio Ippolito – Bitcoin è per tutti.
E per essere per tutti deve esserlo, aggiungo, anche per chi non vuole vivere da brigante post-unitario.
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Tutto vero, tutto condivisibile.
Ma la realtà dei fatti è che l’Italia è una causa persa, anche sotto questo punto di vista. Qui non è nemmeno possibile pensare che si possa mettere in atto comportamenti virtuosi come fanno svizzera o germania, che distinguono fra investitori e speculatori. Anche perché il 99% degli italiani gode se vengono alzate le tasse su BTC e cripto, “gli sta bene a quei ricconi maledetti”.
Possiamo sbattere i piedi quanto vogliamo, appellarci alla politica, alla costituzione, al padreterno: siamo quattro gatti che combattono contro i mulini a vento. E certe volte pisciano pure controvento, masochisticamente. Siamo un paese di ignoranti, finanziariamente certo ma non solo.
Personalmente ho sempre pensato di poter cambiare la vita (diciamo “aiutare”, va) solo di chi mi sta vicino, non del popolo bue; quello andrebbe prima informato. Ma attualmente è una causa persa: televisione e giornali prima, canali di “informazione” e mezzi di distrazione di massa poi hanno ormai lavato troppi cervelli.
Stima per chi ci prova, chiariamo, ma per quel che mi riguarda i buoi sono fuori dal recinto da troppo tempo per poterci tornare. Continuerò a lavorare nel mio piccolo sulla mia cerchia di conoscenti, cosa che se facessimo tutti potrebbe portare un giorno degli effetti; ma attualmente la causa è persa al 100%
Con godimento degli Antoni vari, che sono felici di stendere tappeti ai loro aguzzini: loro si meritano le banche, l’inflazione, il conto corrente congelato, le rate per la televisione nuova e la pubblicità su misura 🙂
Capisco perfettamente la frustrazione e l’analisi sul ‘popolo bue’ e sui ‘mulini a vento’. È un sentimento diffuso e fondato, specialmente sull’inerzia e la miopia finanziaria italiana.
Hai ragione, la battaglia per l’educazione di massa è persa a breve termine.
Ma c’è una via d’uscita, l’azione non deve essere ‘controvento’, ma chirurgica. Non dobbiamo convertire milioni di persone, ma i pochi decision-maker che controllano l’infrastruttura.
L’unica speranza di ‘normalizzazione’ (cit. Sygnum) è forzare l’adozione di un framework istituzionale EUR sovrano e MiCAR-compliant che sia talmente efficiente da difendere la liquidità italiana dall’attuale offensiva del rendimento USD (7% SOL yield).
Lavorare sulla propria cerchia è cruciale, ma in questo caso, la ‘cerchia’ da muovere è Banca Sella e Société Générale. La vittoria non si otterrà con la politica, ma con la difesa del bilancio. In questo, siamo ancora in gioco.
già lo sospettavo, al 99% sei un bot. Lascio ancora l’1% di possibilità aperte giusto per onestà intellettuale, ma la questione mi pare abbastanza chiusa :’)
Nel dubbio questa è l’ultima volta che perdo tempo a risponderti… tantopiù che la vediamo in maniera diametralmente opposta su tutto 😀
Credo che le nostre due visioni, per quanto opposte, stiano in realtà puntando allo stesso obiettivo finale: la normalizzazione del settore.
La nostra divergenza è solo sul metodo per arrivarci:
La mia strategia è basata sul principio che se si crea un’autostrada in Euro che risolve un problema di bilancio a Société Générale e Banca Sella, il resto della nazione seguirà l’infrastruttura, non la discussione.
L’analisi è precisa: la blockchain (come martello {P2P) non risolverà la politica. È qui che entra in gioco l’architettura.
La vera sfida non è nascondersi, ma creare un framework di regolamento (settlement) che sia nativamente conforme alle leggi europee (MiCAR) e che possa essere adottato dai principali operatori finanziari (come SG-FORGE) per processare titoli alla luce del sole.
Questo framework deve essere neutrale in Euro per impedire che la liquidità EUR (che vuole uscire dal bunker) venga assorbita e sussidiata dal rendimento USD (7% SOL yield), mantenendo così la sovranità finanziaria. Questa è l’unica via d’uscita.