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Crypto in soccorso della finanza tradizionale: siamo noi la exit liquidity di Wall Street?

RWA in soccorso di certi vecchi mercati. Che succede?

Un salvagente crypto per la finanza tradizionale. Almeno a certe latitudini del pantagruelico mondo degli investimenti tradizionali c’è chi comincia ad avere l’acqua alla gola, e mentre cerca affannosamente un nuovo e profittevole scoglio, potrebbe ricevere un aiuto che mai si sarebbe immaginato. Parliamo dei fondi di private equity – fondi che investono principalmente in società non quotate (alto rischio, potenziale alto rendimento), che però partecipano a un mercato storicamente poco liquido.

Non è un mistero che negli USA ci sia ora la configurazione giusta per cancellare tante vecchie regole. Regole che da un lato esistono per proteggere i piccoli investitori da certi investimenti troppo rischiosi – e dall’altro invece, limiterebbero le loro opportunità di investimento. Un suggerimento in tal senso, almeno tra le righe, era arrivato da Larry Fink. Un convegno di Bloomberg di ieri conferma che quella potrebbe essere la strada.

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Private equity in cerca di exit liquidity

Sono parole complicate, che però possono essere spiegate in pochi secondi. I fondi di private equity sono gestioni patrimoniali che si mettono a caccia di società non quotate che potrebbero essere molto redditizie. Talvolta le ristrutturano, altre volte si limitano a fornire sinergie e capitale. L’obiettivo? Sempre lo stesso: fare soldi nel più breve tempo possibile, correndo però qualche rischio in più rispetto agli investimenti in società quotate.

Il settore ha da tempo problemi: un lungo periodo di tassi elevati negli Stati Uniti ha reso molto difficile sia procacciare investitori e capitali, sia trovare settori potenzialmente redditizi. Sulle difficoltà del settore scrivono, da tempo, i più cinici analisti di mercato. Ora però che il re sia nudo o comunque in mutande non è più un mistero per nessuno, tant’è che se n’è parlato, con toni per il momento ancora tranquilli, al Bloomberg’s Women, Money and Power di Londra. Convention che ha visto la partecipazione di dirigenti di grandi gruppi del settore come Apollo, KKR, Blackstone.

  • Qual è il problema?

Il problema è quello dei paper gain, ovvero anche quando l’investimento è sulla carta redditizio e ha già raggiunto risultati, liquidarlo diventa difficile. Gli investitori più che numeri in qualche foglio Excel preferirebbero il cash, che però può essere ottenuto soltanto cedendo tali imprese o con iniezioni di capitale da parte di nuovi investitori. In questo particolare momento storico, con il costo del capitale che è il più alto da un paio di decenni a questa parte, non è esattamente la più agile delle imprese.

  • Hey tu, investitore retail

Non è che vogliamo unire puntini che esistono soltanto nella nostra testa, ma è evidente che ci sia una via d’uscita, almeno negli USA, che potrebbe passare dalle infrastrutture del mondo crypto. Larry Fink a inizio anno ha parlato di democratizzazione dell’industria degli investimenti con l’apertura del private equity e del credito privato anche agli investitori retail.

Per farlo, neanche a dirlo, si potrebbe ricorrere alla tokenizzazione, che avrebbe un impatto in termini di democratizzazione simile a quello della nascita della prima borsa ad Amsterdam.

Se 2+2 fa ancora 4, a nostro avviso una delle idee possibili potrebbe essere quella di tokenizzare certi fondi e certi investimenti, aspettare qualcuno che li incapsuli in altri tipi di token e darli in pasto al mercato crypto, sempre ubriaco di tentati rendimenti e di belle speranze.

Un po’ come è successo con $BUIDL, fondo money market che è sì aperto soltanto agli investitori professionali, ma che al tempo stesso arriva nelle tasche dei piccoli retail tramite USDtb, una stablecoin creata da Ethena che ha $BUIDL come riserva e trasferisce i rendimenti del fondo ai possessori del token.

  • La vera domanda: saremo exit liquidity?

Chissà quanto di nobile e di buono c’è nelle intenzioni di chi sta spingendo per l’apertura dei mercati di private equity ai retail, magari condendoli del trend dell’ultima ora, che è quello degli investimenti tokenizzati.

Nutrire qualche sospetto sugli aneliti democratici dei gestori dei più grandi fondi al mondo è certamente legittimo. Chissà se però ne verremo fuori con una situazione migliore (certe opportunità di investimento aperte anche a noi retail) oppure se saremo pescati dalle reti a strascico di chi vuole liquidare certi investimenti che sono meno liquidi delle pietre.

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