La Casa Bianca e il governo USA serrano di nuovo i ranghi sulla questione tassi di interesse. A parlare questa volta, di domenica, è Scott Bessent, che è Segretario del Tesoro. E che ne ha approfittato per parlare ancora una volta di tassi. Tassi che hanno già innescato una guerra tra Fed e appunto gli uomini più vicini a Donald Trump.
Scott Bessent ha detto che non c’è una recessione per l’economia USA nel suo complesso, ma piuttosto che i settori che sono più sensibili ai tassi di interesse sono… in recessione. E ha aggiunto di essere pressoché certo di avere un momento migliore, per quei settori, nel 2026. Il sottinteso è che il Tesoro USA si aspetta un percorso di tagli più deciso nell’anno che verrà.
Bessent: frecciata a Fed?
La questione dei tassi di interesse riguarda molto da vicino anche Bitcoin e il mondo crypto – dato che si ritiene, a buon diritto, che una politica monetaria espansiva avrà dei riflessi positivi sugli asset risk-on – ovvero gli asset che interessano chi ha appetito per il rischio.

Il tema è stato discusso su queste pagine più volte: Fed è spaccata (tra chi vuole tagli e chi non li vuole a dicembre) – con parte della spaccatura che dipende da un’opera incessante di attacco da parte della Casa Bianca e con almeno tre membri votanti (Miran, Bowman e Waller) che sono perfettamente allineati con i desiderata della Casa Bianca.
Le previsioni dettate dai mercati sulla prossima scelta di Fed sono cambiate molto rapidamente nel corso degli ultimi giorni. Prima è tornato in vantaggio il no ai tagli – complici certe dichiarazioni (principalmente di Collins) – poi dopo l’apertura di Williams (storicamente vicino a Powell) le previsioni si sono invertite di nuovo.
È una situazione comunque poco stabile – e che vedrà probabilmente altri capovolgimenti di fronte da qui all’appuntamento del 10 gennaio – così come dovrebbe essere evidente dai rapporti che indichiamo qui.
In questo senso vanno interpretate le ultime parole di Bessent, che ha parlato di recessione che è limitata ai settori che sono maggiormente sensibili ai tassi di interesse elevati, indirettamente attribuendone la colpa a una Fed e a un Jerome Powell che sarebbero, almeno secondo Donald Trump, in ritardo.
Il segnale vero
Il segnale vero è che le pressioni continueranno anche nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Tutto questo verso un presidente di Fed, Jerome Powell, che non sempre ha dimostrato di avere la forza (anche politica) di essere indipendente.
In una situazione del genere, come abbiamo avuto a scrivere più volte su queste pagine, sembrerebbe difficile vedere una Fed titubante sui tagli a dicembre, per quanto per ora appaia come spaccata.
Il conto è 5 a 5 per ora, con 2 (Powell e Jefferson) che non si sono ancora espressi pubblicamente. Vanno però tenute in considerazione due questioni: la prima è che la maggioranza che emergerà condizionerà gli altri – e quindi difficilmente ci si presenterà in conferenza stampa raccontando di un 7-5.
La seconda è che il voto di Powell, pur avendo un valore identico agli altri, sarà molto più condizionante.
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