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A New York la prima maxi-accusa di riciclaggio tramite criptovalute

Siamo tornati più volte a parlare del fatto che le criptovalute siano un sistema di pagamento anonimo, possibilmente utilizzato per fini poco nobili. Dobbiamo pur sempre ricordarci che nella forma embrionale di questo mercato, Bitcoin era soltanto un sistema di pagamento decentralizzato per fare operazioni sul deep web; chi conosce la darknet, la parte “nascosta” di internet che non si trova sui comuni motori di ricerca, sa bene che non è propriamente il posto più etico in cui stare.

Questi argomenti sono stati un po’messi da parte ultimamente, dal momento in cui sempre più persone si sono avvicinate alle crypto. Il 90% e più degli utenti che le hanno acquistate lo ha fatto con fini speculativi, non necessariamente quello di utilizzarle per comprare e vendere cose. Eppure le autorità internazionali hanno continuato a concentrarsi su questo tipo di problema, arrivando oggi a segnalare uno dei primi grandi casi di riciclaggio di denaro avvenuto in criptovalute. La notizia arriva direttamente da New York, dove due persone di 35 anni sono state arrestate con l’accusa di aver riciclato 2,8 milioni di dollari guadagnati vendendo sostanze illegali tramite il web.

Un mercato sommerso ma ricco

Non si possono quantificare realmente gli scambi che avvengono sul deep web, ma il volume complessivo stimato è nell’ordine delle decine di miliardi di dollari. In questo ecosistema, l’unico metodo di pagamento accettato sono le criptovalute. Anonime e facili da scambiare con denaro reale, sono diventate da subito lo strumento di pagamento più amato da chi opera nella parte “oscura” di internet.

I due soggetti in stato di accusa si occupavano proprio di questo. Sulla darknet, il loro lavoro era quello di commercializzare steroidi ed altri farmaci come il viagra; alcuni di questi sono del tutto illegali negli Stati Uniti, mentre altri possono essere venduti esclusivamente su ricetta medica. Un business milionario che ha rapidamente portato alla necessità di convertire questo denaro virtuale in dollari americani, ma senza successo.  Callaway Crain e Mark Sanchez, questi i loro nomi, hanno provato a creare delle triangolazioni sugli exchange in modo da rendere più difficile risalire alla loro identità.

In poche parole, i due riuscivano ad approvvigionarsi di questi farmaci tramite fonti non note. A questo punto li vendevano sulla darknet incassando Bitcoin, che poi non venivano immediatamente convertiti in dollari; prima venivano scambiati con altre criptovalute su diversi exchange, fino all’ultimo passaggio che trasformava nuovamente questi asset in valuta fiat. Un sistema durato anni, che ha funzionato fino ad oggi.

Niente di nuovo

Come già ribadito più volte, l’anonimato delle criptovalute è parziale. Fino a che il denaro non deve essere riconvertito sotto forma di valuta fiat, c’è modo di farlo viaggiare nascondendo la propria identità; quando arriva il momento di fare il passaggio tra crypto e denaro reale, non c’è più storia. Qualsiasi carta di credito, carta prepagata o conto corrente associato all’account sul sito di un exchange fa saltare l’anonimato.

Questo è un bene, perché rende la vita difficile ai cyber criminali, ma sottolinea ancora una volta come il ruolo degli exchange abbia radicalmente trasformato il mercato crypto. In futuro, pare chiaro, queste piattaforme continueranno a crescere negli affari e nel potere esercitato sulla community più di quanto non lo faranno Bitcoin e le altcoin. Non solo, ma come dimostra il caso di Binance Coin ci sarà sempre più commistione tra exchange e crittomonete. E questo, ovviamente, vuol dire anche collaborare con le autorità nazionali.

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