Anche la finanza globale ha i suoi eroi mascherati. Intervengono, come Batman a Gotham City, quando il potere pubblico non funziona più, quando è troppo corrotto o quando – come nel caso dei bond – è la causa stessa del male.
Sono i bond vigilante – ne avevamo sentito parlare con l’ultima crisi dei bond USA – salvo poi assistere alla loro fuga, al loro ritorno nell’ombra e soprattutto al silenzio. Come ogni super-eroe che si rispetti però, celebrarne il funerale in anticipo può essere un errore che si paga a caro prezzo. Le stesse preoccupazioni che ne avevano garantito l’intervento infatti sono ancora lì, pronte a farsi sentire. E la cosa potrebbe avere delle ripercussioni, soprattutto per il lungo periodo – anche su Bitcoin e certe crypto.
I bond vigilante dormono, per ora
La storia è semplice, anche se un po’ romanzata. Quando un certo stato prende decisioni che si ritengono eccessivamente sbagliate – i cosiddetti bond vigilante salgono in cattedra, scaricano bond a mercato, fanno salire i rendimenti e mandano un segnale molto preciso a chi ha potere decisionale.
- Quali rendimenti sono da tenere sotto controllo?
Tipicamente, per gli USA, quelli dei bond a 10 anni e quelli dei bond trentennali.

I livelli ritenuti di soglia sono di 4,5-5% per i decennali – soglie che sono state già raggiunte nel 2025 (ma comunque poi tornati sensibilmente al di sotto di quei livelli) sui decennali.
E del 5,00%-5,50% sui trentennali. Anche questa è una soglia dalla quale ci siamo, nelle ultime settimane, allontanati.
- Perché dovrebbe interessarci, se investiamo su Bitcoin e crypto?
Ci interessa principalmente perché la crisi dei bond sarebbe un’anticipazione di quel debasement trade – del quale abbiamo già parlato qui.
Ancora in breve: uno stress ulteriore sui bond segnalerebbe l’inevitabilità, per gli stati, di spingere per una svalutazione della propria moneta per rendere il mostruoso debito al quale devono fare fronte maggiormente sostenibile.

In un contesto del genere, Bitcoin potrebbe brillare. Il condizionale è d’obbligo, anche se sono ormai in tanti, anche ai piani alti di Wall Street, a credere a questa possibilità.
Perché Bitcoin e non l’oro?
In realtà a vivere questa complicata fase del debito sovrano con maggiori spunti è stato – fino a oggi – l’oro. Le performance annuali del bene rifugio per eccellenza sono state addirittura superiori a quelle di Bitcoin.
Ci sono delle spiegazioni, almeno di breve periodo. La più gettonata – ancora una volta facciamo riferimento a specialisti di primo profilo – è che in un ambiente risk off sarà l’oro a sovraperformare Bitcoin. In un ambiente generalmente più risk on, l’inverso.
Il tutto però all’interno di un quadro complessivo che vede le valute classiche – e il debito in esse denominato – sempre meno attrattive.
Sul tema è intervenuto recentemente anche The Economist
La scorsa settimana The Economist ha dedicato il suo numero alla crisi del debito sovrano, con un sottotitolo piuttosto evocativo: Tutti sono l’Argentina.
L’analisi si può leggere in forma completa qui. Ne riporteremo qui però qualche scorcio saliente.
Per quanto tempo gli stati possono vivere al di sopra dei propri mezzi? Il debito pubblico del mondo ricco vale già il 110% del PIL; fatta eccezione per la pandemia covid-19, era successo soltanto durante le Guerre Napoleoniche. Dopodiché il Regno Unito ha operato per quasi un secolo con budget molto ristretti per ripagare i suoi creditori. […] Oggi però i politici fanno fatica a correggere il bilancio.
E poi ancora:
Non possono evitare i costi degli interessi in crescita – la popolazione ormai anziana esercita una pressione elettorale irresistibile per maggiore distribuzione di welfare. Alzare le tasse è altrettanto difficile. In Europa il gettito degli stati è già alto. In America l’aumento delle tasse è un biglietto per la sconfitta elettorale.
- Ci sono speranze di salvarsi?
Se il mondo riuscirà a emergere con debiti più contenuti e conscio dei pericoli dell’eccessivo indebitamento, è possibile una sorta di rinnovamento. L’alternativa sarebbe il caos per le economie più importanti del mondo.
Dato che è The Economist – e non qualche analista da strapazzo che deve fare click su YouTube – forse è il caso di stare a sentire.
Per il resto, se dovesse valere la teoria del debasement trade – ci sono delle possibilità che sia proprio Bitcoin a salvare… il salvabile. Almeno per chi vorrà prestargli orecchio.
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