Tra poco si dovrà tornare a discutere di Legge di Bilancio, il complesso testo che decide come saranno spesi i denari dei contribuenti italiani e soprattutto da dove saranno presi. Gli investitori nel mondo crypto e Bitcoin partiranno da una situazione di svantaggio.
Senza un’ulteriore deroga infatti chi investe spot (ed è questa la prima delle follie delle quali vogliamo parlarvi oggi) pagherà il 33% sui gain, sui guadagni portati a casa a partire dal prossimo anno. Il resto degli investitori invece continuerà a pagare il 26% (e chi investe invece in bond statali il 12,5%). Una situazione di figli e figliastri che pesa sulle tasche e anche sull’eguaglianza di chi investe come preferisce. Una follia che andrà fermata costi quel che costi.
Fermate la giostra, vogliamo scendere
Erano in tanti a spellarsi le mani in lunghi applausi dopo il riconoscimento da parte del Parlamento della realtà degli asset digitali. C’è chi credeva che il riconoscimento avrebbe portato a sentirsi meno estranei, meno emarginati, meno guardati con sospetto rispetto agli altri investitori. Ciò che abbiamo ottenuto, almeno per ora, è invece una tassazione già sfavorevole oggi e che lo diventerà ancora di più nel prossimo anno.
Cosa ha in mente il Parlamento
Secondo quella che è una misura senza padri e che nessuno ha rivendicato apertamente, si passerà dal 26% attuale al 33% futuro, senza alcuna soglia di esenzione.
Hai speso Bitcoin per comprare qualcosa? Vieni considerato un investitore. Devi fare calcoli molto complicati (puoi aiutarti qui), pagare il dovuto anche se il gain dovesse essere di pochi centesimi.
Hai deciso di ricevere pagamenti in Bitcoin o cripto per poi convertirli? Apriti cielo. Basta anche soltanto la complessità di questo tipo di operazioni per farti desistere.
A premere però più è l’aliquota. Gli investitori in azioni, ETF, fondi, commodities, futures, continueranno a pagare il 26%. Noi del mondo crypto, per motivi invero oscuri, pagheremo invece il 33%.
La follia nella follia
La follia nella follia è che il nostro ordinamento, come altri, tassa la forma più che la sostanza. Se dovesse passare così com’è la legge chi investe in crypto utilizzando:
- ETF
- Futures
- Opzioni
Finirà per pagare comunque “solo” il 26%. Chi invece compra e vende spot, pagherà il 33%.
Una scelta questa che favorirà:
- Emittenti che non hanno MAI sede in Italia e che non vi pagano né tasse né stipendi;
- Strumenti più rischiosi come i derivati.
Su quest’ultimo punto non siamo noi a parlare, ma ESMA, che ritiene che debbano esserci dei limiti nell’accesso dei retail a questi prodotti.
Oltre a incassare qualche decina di migliaia di euro in più, il Parlamento riuscirà nella mirabile impresa di rendere il settore più rischioso per chi ci si avvicina.
Cosa si può fare?
Si deve iniziare a farsi sentire. Non si può sempre abbassare la testa o inventarsi complicati schemi per cercare di pagare meno.
Chi investe in crypto:
- Ha gli stessi diritti degli altri investitori;
- Ha diritto a essere trattato con uguaglianza;
- È già vessato da complicazioni enormi in fase di dichiarazione;
- Ha già problemi con banche e intermediari “per questa sua passione”;
- Non deve essere spinto verso altre soluzioni che sono tecnicamente più rischiose e presentano maggior rischio di controparte.
- Non deve essere obbligato a utilizzare ETF costosi e che possono essere scambiati solo a borse aperte.
Sono richieste ragionevoli, che vanno avanzate il prima possibile a chi di dovere e che non possono che essere la base per qualunque discorso ragionevole sulla questione crypto e Bitcoin.
Perché se il punto è quello di ammazzare il settore, tanto vale proibirlo tout court invece di cercarne la scomparsa a mezzo tasse.
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ok, esiste una petizione o simile ?
Battaglie contro i mulini al vento.
gli operatori di settore dovrebbero incontrare il governo attraverso quei parlamentari crypto-friendly che abbiamo conosciuto lo scorso anno quando si discuteva del 33%