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RISCHI

Le tasse crypto al 33% favoriranno caos come venerdì. Investitori spinti verso il rischio

Ci sono effetti secondari riguardo l'aumento della tassazione in Italia che...

Cosa c’entra l’eventuale passaggio al 33% delle tasse in Italia sulle crypto con quanto avvenuto venerdì? Niente, direttamente. Indirettamente però è la prova di uno degli effetti indesiderati dell’introduzione di una norma di questo tipo. Una norma/aumento della tassazione che spingerà in tanti verso i prodotti che hanno fallito in modo plateale nella tarda serata di venerdì.

Sì, perché a finire nel tritacarne del 33% di tassazione saranno soltanto gli investimenti spot, ovvero quelli che effettuiamo detenendo criptovaluta e non tramite contratti derivati come i futures perp o anche margin trading. E sì, certi pericoli che andremo a illustrare nel corso di questo approfondimento.

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Le conseguenze della tassazione

Come abbiamo già visto durante il weekend – ci sono relativamente poche possibilità di rimandare l’aumento al 33% delle tasse sulle crypto. Ci si giocherà tutto probabilmente nel Mille Proroghe e se dovessimo (sì, è un noi) soccombere, dal 2026 dovremo pagare il 33% su eventuali gain, contro il 26% invece di tutti gli altri investitori.

Sapete cosa succede quando si aumentano delle tasse su un asset specifico? Tendenzialmente si cerca di aggirarle, legalmente, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione.

Dato che almeno nella formulazione attuale della legge tanto gli ETF quanto i contratti derivati saranno esenti da questo aumento (in Italia come altrove si tassa per forma), gli investitori saranno spinti verso altri strumenti. Eviteranno la detenzione diretta di asset e si orienteranno, per essere esposti verso Bitcoin e crypto, verso altri tipi di strumenti.

  • ETF

Fin qui “tutto bene”. Presentano dei (minimi) rischi di controparte, chi li usa deve pagare un obolo al gestore (che viene indirettamente arricchito dalle scelte del Parlamento italiano) e però non si rischia il caos come sui derivati – ovvero come quello che abbiamo visto venerdì.

  • CFD

Non presentano i problemi di cui sopra, pur essendo comunque dei contratti tra due parti (la piattaforma e l’investitore) e dunque per natura meno liquidi e più costosi.

Per l’investitore italiano però avranno il vantaggio di essere tassati soltanto al 26% contro il 33%.

  • Più probabile: margin e perp

Margin e Perp sono due modalità derivate di investimento che pur essendo apparentemente uguali presentano similitudini dove conta di più. Ovvero nel meccanismo di ADL, un meccanismo che serve a ridurre complessivamente la leva del mercato e a evitare che l’exchange fallisca.

L’ADL (auto-deleveraging) è una necessità, perché il rischio se dovesse saltare l’exchange è che nessuno venga pagato, anche chi aveva ragione, ovvero era posizionato correttamente.

Nelle fasi di stress estremo del mercato, come quella di venerdì, diversi exchange possono applicare un ADL che comporta la chiusura delle posizioni di chi stava guadagnando.

Questo perché attivata la liquidazione di una posizione, l’exchange ha due alternative: coprire eventuali ammanchi (facile che si verifichino con liquidazioni a cascata di quella portata) con un fondo di copertura proprio, oppure chiudere le posizioni di chi invece è dall’altro lato del trading e correttamente posizionato.

Può dunque succedere che pur avendo indovinato la direzione del mercato, la propria posizione venga comunque chiusa.

E – questo è certamente un pericolo aggiuntivo – non è detto che tali meccanismi funzionino sempre, soprattutto sugli exchange meno liquidi.

Ora, senza fare terrorismo psicologico, dovrebbe apparire come evidente che spingere gli utenti verso queste formule non sia necessariamente una buona idea.

Ok per chi è conscio dei rischi che certi strumenti presentano, ma gli effetti di second’ordine sul mercato e su chi vi partecipa andrebbero considerati.

Il rischio è infatti quello di creare una norma che sulla carta è neutra rispetto ai rischi e invece li aumenta. Caso tipico? Il MiCA che ha imposto una separazione dei mercati europei dagli altri, creando di fatto una situazione di minore liquidità per chi investe dal nostro continente.

Sul tema torneremo con maggiore dovizia di particolari. Qualcuno obietterà che i perp sono ormai strumenti che in Europa non dovrebbero trovare cittadinanza. Spingere però gli utenti – tramite tassazione – a cercarli altrove, non appare almeno a chi vi scrive la migliore delle decisioni.

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