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HACK USA

Cina accusa governo USA di hack da 127.000 Bitcoin. Anche il Partito si schiera

Uno dei sequestri più importanti di sempre è diventato terreno di scontro tra Pechino e Washington.

Hacker di stato. Questa volta però non sarebbero nordcoreani, ma degli Stati Uniti. A lanciare l’accusa è il China National Computer Virus Emergency Response Center – che la scorsa domenica ha pubblicato un report che indica negli Stati Uniti e in particolare nel Dipartimento di Giustizia il responsabile di un hack che ha sottratto 127.000 Bitcoin.

I 127.000 Bitcoin sono quelli legati a LuBian mining pool – ed erano stati già oggetto di indagine anche in occidente, dati i metodi poco ortodossi con i quali gli USA ne sono entrati in possesso. Si era parlato di hack di wallet che utilizzavano chiavi generate con una casualità poco casuale – senza che però ci fossero conferme né dal DOJ né da autorità politiche di spessore simile. Ora però ci pensa la Cina a puntare il dito. E lo punta verso Washington.

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Hacker di stato, ma americani

Sono gli stessi Bitcoin che sono (o sarebbe il caso di dire “erano”) legati al businessman cambogiano Chen Zhi, accusato invero di cose assai turpi e che proprio in virtù di tali accuse ha visto il DoJ, il Dipartimento di Giustizia USA, attivarsi.

Non c’è stata però una consegna volontaria delle chiavi né un recupero delle stesse da qualche hard disk o cloud – come avvenuto in casi simili in passato. Secondo le autorità cinesi infatti – la notizia è stata ripresa anche da Global Times, che è appunto legato al Partito Comunista Cinese – il sequestro sarebbe stato frutto di un attacco coordinato dal Dipartimento di Giustizia stesso.

La timeline nella versione cinese

L’attacco alla mining pool LuBian è avvenuto il 29 dicembre 2020. Successivamente, fino al 2021 il legittimo proprietario* – inviando messaggi sulla blockchain di Bitcoin, offrendo anche delle ricompense in caso di restituzione. Non è stata mai ricevuta risposta.

Successivamente, per quattro anni, i Bitcoin in questione sono rimasti dormienti, salvo poi iniziare a muoversi da luglio 2024. Sono stati fermi poi per altri mesi, fino a quando, nell’ottobre del 2024, il Dipartimento di Giustizia ha formalizzato le accuse nei confronti di Chen Zi, indicando contestualmente di aver sequestrato 127.000 Bitcoin di sua proprietà.

In altre parole, il governo degli USA ha rubato i 127.000 Bitcoin di Chen Chi già nel 2020, utilizzando tecniche di hacking tipiche di un’organizzazione statale.

A sostegno di tale tesi c’è anche la permanenza dei Bitcoin nello stesso wallet per 4 anni, senza che gli hacker si siano preoccupati di liquidarli, anche allo scopo di far perdere le proprie tracce.

Inoltre, aggiungono le fonti cinesi, tale ricostruzione smentisce quella del Dipartimento di Giustizia USA, che afferma che i 127.000 Bitcoin sequestrati proverrebbero da attività illecite. Il mining non lo è – e non sembrerebbe avere alcun tipo di legame con le attività illegali di Chen Zi, per le quali è ricercato dalla polizia federale statunitense.

Note aggiuntive

Il China’s National Computer Virus Emergency Response Center non è un’entità governativa ma un’associazione privata e no profit.

Il fatto però che tale report sia stato ripreso da Global Times – che è invece collegata alle autorità di Pechino – aggiunge risvolti politici alle accuse.

Rimangono comunque dubbi importanti sulla ricostruzione cinese – che manca di prove decisive ed è, almeno ad avviso di chi vi scrive, sostenute da illazioni che non hanno ancora la caratteristica della prova.

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