Se non avete fatto gambling con le shitcoin, probabilmente siete in ampio profitto, e dovrete a breve decidere cosa fare con quelle plusvalenze, se monetizzarle e pagare il 26% di imposta sostituiva, o rimanere in asset volatili, senza versare nulla ma con il rischio che il bear market poi eroda tutti i guadagni.
C’è però anche un’altra soluzione, spesso poco presa in considerazione, che permette agli investitori di ottenere della liquidità in euro o stablecoin, senza dover necessariamente pagare le tasse sulle proprie posizioni. Si tratta di una strategia conforme alla legge italiana, che però richiede un pò di accortezze e di organizzazione. Vediamo di cosa si tratta.
Ci avviciniamo alla parte conclusiva dell’anno, quella in cui i crypto investitori dovranno fare il resoconto del proprio portafoglio e pianificare la gestione dei propri obblighi fiscali, primo su tutti il versamento delle tasse sui guadagni realizzati. Nel 2025 il mercato è stato complessivamente molto positivo, con Bitcoin che ha aggiornato più volte i suoi massimi storici ed Ethereum che ha messo il piede sul gas proprio in quest’ultimo periodo.
Mercato crypto 2025: a fine anno si fanno i conti con il Fisco e con le tasse da versare
Andiamo con ordine: solitamente a fine di ogni anno tutti gli investitori attivi nei mercati finanziari, tra cui anche quelli del mondo crypto, si siedono a tavolino e mettono nero su bianco i risultati ottenuti. Poi, sulla base di quanto effettivamente realizzato nelle varie operazioni imponibili, si calcolano le tasse da versare allo stato e le si accantonano su strumenti a basso rischio, o semplicemente in liquidità nel conto corrente.
L’appuntamento con il Fisco, quello in cui si dovranno versare le tasse tramite F24, è fissato al 30 giugno ( con potenziale proroga al 31 luglio con maggiorazione dello 0,4%), ma già a fine anno in genere si fanno i conti per non trovarsi impreparati, e soprattutto senza liquidità, nel momento del bisogno.
Ricordiamo che qualsiasi plusvalenza registrata nel 2025 mediante rimborso, cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività ( termine specifico per indicare gli asset crypto), è tassata con un’imposta sostitutiva del 26%.
Dal 2026 però, secondo quanto scritto nella nuova Legge di Bilancio, questa tassa salirà di ben 7 punti percentuali fino al 33%.Su questo aumento della pressione fiscale potremmo dedicarci un articolo a parte, visto lo scempio messo in atto dalle istituzioni italiane, vista anche la discriminazione rispetto ad altri strumenti finanziari con sottostante crypto ( gli ETF rimarranno probabilmente al 26%), ma questa è un’altra storia.
Fate voi i calcoli e cercate di capire se potrebbe avere senso aspettare di monetizzare nel 2026, pur pagando maggiori imposte.
Come ottenere liquidità senza vendere crypto e non pagare le tasse nel 2025
Se pensate che nel 2026 il mercato crypto non riuscirà a crescere così tanto da giustificare un imposizione fiscale maggiore, o se avete delle minusvalenze arretrare che stanno scadendo, dovete valutare di realizzare qualche guadagno nel 2025 e stanziare il 26% per le tasse. Oppure, se volete fare cash-out per godervi qualche profitto, ma non volete perdere oltre ¼ in imposte, potete seguire questa strategia.
Qualcuno di voi probabilmente già la conosce: si tratta di utilizzare le proprie crypto come collaterale sui protocolli di lending, anziché venderle, e prendere in prestito stablecoin, che potrete poi cambiare in euro e spendere nel mondo reale. Così facendo non dovrete pagare nulla di tasse nel 2026 ( in relazione agli investimenti nel 2025), perché in Italia i debiti non costituiscono un evento imponibile.
In altre parole, se utilizzate ad esempio Bitcoin o Ethereum come garanzia per ottenere un prestito in stablecoin, non state realizzando una plusvalenza: state semplicemente contraendo un debito. E i debiti, per definizione, non vengono tassati.
I vantaggi dei prestiti in stablecoin per non pagare le tasse sulle plusvalenze crypto
Chiaramente questa strategia ha molti vantaggi, soprattutto se siete holders intenzionati a detenere i vostri crypto asset per il lungo termine. Facciamo un esempio per essere più chiari: immaginate di avere 1 BTC in portafoglio, attualmente quotato $115.000, e di voler ritirare $50.000 di controvalore, perchè magari vi servono per un estinguere il mutuo o per godervi i sacrifici dell’ultima bull run.
Vendendo semplicemente una parte dei BTC in possesso ( 0,43 BTC per l’esattezza) e ritirando $50.000, scatterebbe un evento imponibile e dovreste pagare il 26% su quella cifra, ossia $13.000. Vi rimangono 0,57 BTC, con la crypto che magari al prossimo bull market salirà al target di $500.000 e vi lascerà con $285.000 di controvalore.
Se invece, piuttosto che vendere, metteste BTC in garanzia per prendere un prestito di $50.000, non dovrete pagare nessuna tassa. Tra qualche anno, come detto, Bitcoin raggiungerà il target ipotizzato sopra, e voi vi ritroverete con mezzo milione di dollari in portafoglio ( 1 BTC * $500.000).

A questo dovrete togliere il debito contratto, che va ripagato prima o poi, ovvero $50.000, a cui si sommano i tassi di interesse (attualmente 6% all’anno per i prestiti in USDC).
Ipotizziamo un debito che dura 4 anni: alla fine dei conti dovrete pagare circa $63.500. Quindi vi rimarrebbero in tasca $436.500, molto di più rispetto allo scenario in cui avreste liquidato subito una parte di Bitcoin, pagato le tasse e conservato soltanto 0,57 BTC.
Attenzione: la tassazione non viene eliminata completamente, ma solo rinviata.
C’è però da fare una precisione molto importante: adottando la strategia di prendere in prestito stablecoin non vi farà evitare completamente le tasse, ma vi farà solamente evitare di pagarle nel 2025. Il concetto è che la tassazione viene rinviata a quando quegli asset forniti come garanzia per il debito, verranno poi effettivamente venduti in un’operazione fiscalmente rilevante.
Quindi quei $436.500 che vi rimangono in tasca, saranno poi da pagare secondo le aliquote in vigore nei prossimi anni. Ipotizzando che rimarremo al 33% nei prossimi 4 anni, dovrete $144.000 di tasse, quindi rimangono netti $292.500 circa.
Rimane comunque una strategia più vantaggiosa rispetto alla scelta di vendere una parte subito, visto anche quei 0,57 BTC rimasti nel primo caso, diventati poi $285.000 con BTC a $500.000, saranno da tassare al 33%, diventando quindi netti $190.900.
Attenzione anche ai rischi de crypto lending
Sì è vero: se Bitcoin continuerà a crescere nei prossimi anni, come fatto fino ad ora, questa strategia offre notevoli vantaggi in termini di risparmio fiscale, ma ci sono anche dei rischi da non dover sottovalutare. Primo su tutti, quello che magari Bitcoin, invece di crescere come sperato, scenderà di prezzo, e quindi vi troverete a dover pagare un debito, maggiorato di interessi, rimanendo con meno valore complessivo finale.
Ma soprattutto, cosa ancor di più importante, è il rischio di essere liquidati. Dovete sapere che su qualsiasi protocollo di lending, sia esso Aave o le varie soluzioni centralizzate come Nexo, se il valore del collaterale scende al di sotto di un determinato livello, allora perdete tutti gli asset messi a garanzia, e venite svincolati dal debito. Ergo, rimanete con gli USDC in tasca, ma senza Bitcoin.
Questo determinato livello è chiamato “liquidation threshold”, e rappresenta il valore oltre il quale il tuo collaterale può essere liquidato se il valore del prestito sale troppo rispetto a quello del collaterale. Su Aave V3 Core, per WBTC ( versione di BTC su Ethereum), è fissato al 78%.

Riprendendo lo scenario sopra: su $115.000 forniti come collaterale in WBTC per $50.000 USDC, significa che, se BTC scende scende al di sotto di circa $64.100, la posizione viene immediatamente liquidata. Diventa fondamentale dunque saper gestire il rischio in questa situazione, evitare di assumere debiti troppo grandi da ripagare, ed avere della liquidità di riserva per queste emergenze.
Attenzione: anche sull’eventuale liquidazione, se siete in profitto rispetto al prezzo di acquisto iniziale, dovrete pagare le tasse perchè è un evento fiscalmente rilevante.
Una precisazione sulle operazioni fiscalmente rilevanti
Aggiungiamo questa piccola precisazione perché spesso si sentono molte inesattezze sul web. Per poter considerare un’operazione formalmente “fiscalmente rilevante”, ossia tassabile, occorre che si realizzi una plusvalenza/ minusvalenza effettiva, quindi che ci sia una conversione delle crypto in euro o determinate stablecoin.
Tra le stablecoin che rientrano in questa categoria troviamo i cosiddetti EMT ( e-money token), ovvero token che mantengono il loro valore facendo riferimento a una singola valuta ufficiale, come l’euro o il dollaro. Invece le stablecoin ART (Asset-Referenced Token), i cui scambi NON sono fiscalmente rilevante, sono legate a un paniere di valute, beni, o altri asset, e non esclusivamente a una singola moneta fiat.
Qualche mese fa era arrivata una precisazione dell’AdE a riguardo, dopo una sollecitazione di Giulio Centemero, deputato della Lega e membro della Commissione Finanze. È stato chiarito che le permute tra criptovalute e EMT sono da considerarsi fiscalmente rilevanti, poiché gli EMT garantiscono al detentore un diritto di credito pari al valore nominale in valuta fiat

Tra le stablecoin EMT troviamo USDT, USDC,EURT, FDUSD, PYUSD. Tra quelle ART, i cui scambi non producono tassazione immediata ( ma anche qui, una tassazione rinviata ad operazioni rilevanti future) troviamo USDe, DAI, XAUT, PAXG e FRAX.
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