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L’uomo di Donald Trump in Fed: “Stablecoin riavviano il sistema”. Ed è un problema

Miran parla per conto di Trump: ma le stablecoin sono inconciliabili con il sistema attuale.

Sulle stablecoin e il rapporto con il nuovo governo USA si è scritto parecchio e non sempre in modo intelligente. Tuttavia è comunque notevole l’ultima uscita pubblica di Stephen Miran, Federal Reserve, fosse anche soltanto per il fatto che Miran è l’uomo di Trump all’interno della banca centrale americana. Un Miran che spinge per i tagli, che vede tassi neutrali vicini allo zero e che… loda le stablecoin.

Un’uscita pubblica che ha fatto gridare molti “è uno dei nostri” ma che è anche una sintesi politica dell’aiuto che gli Stati Uniti pensano di ricevere da questo comparto.

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Un aiuto che cambia il dollaro per sempre

Il messaggio è relativamente chiaro da comprendere e Stephen Miran lo ha sparso ai quattro angoli del globo nella sua uscita pubblica di ieri:

“Se un eccesso di domanda globale di stablecoin è guidato da flussi fuori valute estere e nel dollaro USA, questo renderà il dollaro più forte”

È un po’ parte della preoccupazione, almeno per la prima parte della frase, di BCE: la forza enorme delle stablecoin legate al dollaro in realtà renderà lo stesso più centrale – e in termini di mercato più forte. Certo, è una lettura in potenza, perché per oggi i 300 miliardi di dollari che valgono le stablecoin con riserva sono una goccia in un oceano di denaro che parte da Washington e spesso fa il giro del mondo.

Il messaggio di Miran è però un altro: pensare e applicare una politica monetaria che tenga conto anche della domanda di dollari che arriva dalle stablecoin. Il dubbio che abbiamo adesso è che questa narrativa Miran la spinga anche allo scopo di giustificare una politica monetaria più lassista da parte di Fed, che è poi quanto vorrebbe Trump.

Un “riavvio” delle strutture finanziarie americane

Stephen Miran va però oltre – e afferma che le stablecoin (pur con il divieto di offerta di rendimenti ai clienti finali) e dunque essendo meno appetibili dei depositi classici – diventeranno centrali. Al punto tale da riavviare il sistema finanziario americano. E nel senso computeristico del termine, probabilmente con un nuovo sistema operativo.

Ai piani alti si parla già da tempo di narrow banking – ovvero di un sistema dove la banca (in questo caso l’emittente di stablecoin) non presta denaro in giro, ma piuttosto lo investe in titoli a basso rischio. Un sistema che è 100% incompatibile con l’attuale struttura del mercato bancario e anche con la cinghia di trasmissione che parte da Fed e arriva alle stesse banche per la politica monetaria.

Tant’è che fino al 2024 Fed ha rifiutato licenze master account a banche (non stablecoin) che volevano operare in questo senso.

Una bella gatta da pelare per Fed (ma anche per BCE), che deve trovare un equilibrio tra:

  • La preferenza di certi consumatori per le stablecoin contro i depositi bancari;
  • L’eventuale fuga di una parte dei depositi verso le stablecoin;
  • L’instabilità che questo porterà perché avere dei nodi del sistema troppo sicuri (le narrow bank) rende le altre meno sicure di adesso, soprattutto in caso di stress.

Sono temi complicati, ma che sono centrali per capire l’antagonismo tra banche centrali e stablecoin. Non è una questione di tifo, ma di sostenibilità di meccanismi che ci sono, funzionicchiano (ogni tanto qualche banca va salvata) e che per ora sono imprescindibili.

Servirà una rivoluzione – che in realtà però è già partita. Ne parleremo più avanti analizzando come il credito privato sia ora un settore più che rigoglioso – soprattutto negli States, con le banche che stanno perdendo il loro ruolo di “prestatrici”.

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