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Crypto e spie nell’ultimo capitolo della guerra fredda USA – Pyongyang

Una spy story in piena regola, con il sequestro di oltre 15 milioni di dollari in USDT.

Si complica una questione che sembra uscita da una spy story. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha infatti richiesto la confisca per 15,1 milioni di dollari in USDT che sono stati sequestrati ad un gruppo nordcoreano di hacker legato a APT38, secondo una nota diffusa dallo stesso dipartimento lo scorso venerdì.

Fin qui tutto secondo copione, se non fosse che lo stesso DoJ ha confermato di aver ottenuto confessioni da quattro cittadini USA e un cittadino ucraino che avrebbero aiutato oltre 100 lavoratori nordcoreani a infiltrarsi in aziende USA.

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Sequestri, collaboratori, spie e crypto

Le criptovalute sono sempre più coinvolte nei casi di spionaggio che coinvolgono la Corea del Nord, così come sono merce assai pregiata per il regime di Pyongyang, che ha note difficoltà di accesso al mondo bancario internazionale. I 15,1 milioni di dollari sequestrati dal DoJ sarebbero reati ad attacchi a piattaforme exchange non americane, condotti nel 2023. Nel complesso sarebbero coinvolte più di 100 milioni di criptovalute sottratte, rispettivamente da Poloniex, CoinsPaid, Alphapo, con i numeri che però devono essere ancora confermati.

Più curiosa però la seconda parte della storia: ci sono cittadini USA che hanno già confessato di aver aiutato le spie nordcoreane in un caso collegato a infiltrarsi in società americane. Sarebbero almeno 4 ad aver confessato, con un quinto che avrebbe per passaporto ucraino.

Avrebbero non solo fornito identità fittizie, ma avrebbero agito per far apparire le spie nordcoreane come residenti negli Stati Uniti.

È colpa delle criptovalute?

Dopo questo sequestro torneranno prepotenti i temi che hanno ammorbato la discussione pubblica sulle crypto. Sono uno strumento che aiuta la Corea del Nord? La risposta non è semplice, ed è certamente meno scontata di come vorrebbero certi personaggi pubblici.

La Corea del Nord conduce operazioni di spionaggio negli Stati Uniti che con le crypto hanno poco a che fare e che sfruttano l’enorme domanda di personale tecnicamente preparato in ambito informativo. La questione crypto è solo flebilmente collegata a questo tipo di attività.

Hacker di stato, almeno secondo le ricostruzioni delle autorità degli Stati Uniti, attaccano gli exchange al fine di ottenere da un lato valuta estera (per quanto tokenizzata), dall’altro per i grandi bottini che questi attacchi possono offrire. Non è colpa delle crypto e dei player del settore, che sono al contrario vittime di questo… trend.

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