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In Iran torna il mining Bitcoin | a Teheran business da 1 miliardo di dollari

In Iran, dopo un ban durato quattro mesi, si potrà tornare a fare mining di BItcoin, secondo quanto riportato da Financial Tribune, pubblicazione economica iraniana in lingua inglese.

Tutto questo arriva dopo che lo scorso maggio il presidente dell’Iran aveva imposto il ban delle operazioni di mining a causa dell’eccessivo carico sulla rete elettrica nazionale, che aveva portato a diversi e ripetuti blackout.

Iran ban mining interrotto dal 22 settembre
A Teheran il 4,5% dell’hashrate mondiale – per un valore di 1 miliardo di dollari ai prezzi attuali

Un buon segnale per Bitcoin – dopo che il ban del mining in Iran si era aggiunto al fuoco di fila del FUD che ne aveva spinto in basso il prezzo proprio a maggio. Una buona occasione per investire con eToro (qui per aprire un conto di prova gratuito e illimitato), il migliore degli intermediari per investire in BTC grazie ad analisi tecnica su grafico anche via web e servizi fintech esclusivi come i CopyPortfolios per operare su panieri cripto diversificati – e il CopyTrading per copiare i top investitori o anche spiare come si stanno muovendo sul mercato. Possiamo aprire un conto con soli 50$ di versamento minimo.

Nella rete di Bitcoin potrebbe tornare oltre il 4% di hashrate

Le notizie su Bitcoin che arrivano dall’Iran potrebbero avere un impatto importante sull’hashrate totale del network, perché secondo le stime più attendibili parleremmo di circa il 4,5% della potenza di calcolo globale dedicata a BTC. Una quantità di potenza di calcolo molto importante per il mining Bitcoin, che è ancora in via di recupero anche dal ban cinese per questo tipo di operazioni.

Un altro segnale molto forte della resilienza di Bitcoin, che viene ancora una volta confermata dal rapido ritorno verso i livelli di picco che si sono avuti soltanto qualche settimana fa. Per l’Iran, paese sotto embargo finanziario e con enormi problemi economici, il mining è sempre stato un sistema utile e talvolta anche spinto dal governo locale, che vede nelle criptovalute anche un metodo per aggirare le pesanti restrizioni che colpiscono Teheran in termini di movimento di capitali.

Il paese inoltre ha enormi problemi per quanto riguarda le riserve di dollari USA detenute presso la banca centrale – situazione che spinse nel 2019 a legalizzare il mining di criptovalute, accompagnandolo a tasse che hanno aiutato a rimpinguare le casse statali.

Il mining nel paese degli Ayatollah è stato inoltre favorito anche dal costo estremamente basso dell’energia elettrica, non senza qualche problema collaterale. La non esattamente sviluppata rete elettrica ha infatti, durante l’inizio dell’estate, pagato a carissimo prezzo la grande popolarità del mining – con blackout diffusi in tutto il paese, anche in importanti aree industriali.

Per la Cina invece sembra essere un addio definitivo

Per quanto riguarda la Cina invece non sembra che ci sarà la possibilità di rivedere i miner tornare ad operare in tempo utile. In aggiunta molte delle imprese si sono già trasferite all’estero, in giurisdizioni maggiormente aperte a questo tipo di operazioni. Un regalo verso altri paesi, condizionato dalla smania di micro-gestione e micro-controllo della Repubblica Popolare, che ha colpito i miner anche per raggiungere obiettivi di sostenibilità che oggi sono ancora lontanissimi.

In Iran invece gli interessi in ballo sono diversi – e dal prossimo 22 settembre i miner potranno tornare a sostenere la rete di Bitcoin in cambio di ritorni diretti in criptovalute. 1 miliardo di dollari di ritorni ai quali l’Iran, in condizioni economiche difficili, non sembra poter rinunciare.

Tutto questo mentre Bitcoin viaggia intorno ai 50.000$ – dopo una bull run che lo ha allontanato decisamente dai minimi raggiunti nelle scorse settimane. Un buon momento – condito di notizie estremamente positive – per tutto il comparto.

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