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L’Iran fa il primo scambio milionario di cripto | Spinta al commercio internazionale

L’Iran apre fattivamente alle criptovalute per gli scambi internazionali con la prima transazione da 10 milioni di dollari. A rivelarlo un rapporto di Tasnim, agenzia di stampa locale che ha riportato un tweet di Alireza Peyman-Pak, in forza al ministero che regolamenta industria, miniere e commercio.

Il primo caso, o più probabilmente il primo caso d’uso sotto l’egida delle autorità statali, dopo l’ok dell’Iran a Bitcoin di inizio anno. Dopo oltre 40 anni di sanzioni pesantissime il Paese tenta la strada delle criptovalute per aggirare l’embargo e intraprendere, con ogni probabilità, un piano di de-dollarizzazione di più largo respiro.

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Iran punta sulle cripto (per aggirare l’embargo?)

Quella dell’Iran è una situazione complessa che va avanti da decine d’anni. Sanzioni ed embargo finanziario formano dal 1979 un cappio che si stringe sempre più intorno all’economia locale, con pesanti ripercussioni sulle già malandate tasche della popolazione locale. Da oltre 40 anni, imprese e cittadini iraniani non possono sostenere alcun tipo di scambio commerciale con operatori a stelle e strisce, e che questi provengano dalla DeFi o da mercati tradizionali non fa alcuna differenza.

De-dollarizzazione cripto analisi
Per ora ancora un miraggio

La macchina burocratica americana è efficientissima nel far rispettare il diktat ormai prossimo al capello bianco: controlli e sanzioni dietro l’angolo scoraggiano sul nascere anche il pensiero di intessere rapporti commerciali con l’Iran. L’unico soggetto che sembrerebbe essere riuscito in qualche modo nell’impresa è Kraken, exchange avrebbe consentito l’accesso ai propri servizi a cittadini residenti nel Paese islamico.

I fatti risalgono ormai a qualche mese fa, ne abbiamo parlato a tempo debito sottolineando quanto sia improbabile per un’operatore con licenza occidentale muoversi al di fuori delle rigide norme vigenti.

Ma c’è occidente e occidente: ad oggi gli States hanno fatto vedere di saper (voler) regolamentare con un certo criterio, e dimostrando se non un’apertura a tutto tondo, quantomeno un’attitudine al dialogo che in alcuni casi si è tramutata in lotte intestine, che prima o poi dovranno portare a qualcosa di buono.

Di diverso atteggiamento gli attori che animano il dibattito politico nel vecchio continente, protagonisti di un controverso tentativo di regolamentazione prima, per ritrovarsi poi con una patata bollente in mano difficile da maneggiare: un autogol clamoroso che finirà forse per favorire economie e finanze di altri continenti, centralizzate o meno che siano.

Una situazione comunque complessa

Una volta chiaro il quadro in cui si muovono i principali attori occidentali, torniamo finalmente in Iran, dove il caso Kraken, peraltro mai chiarito, veniva a galla a poche settimane dall’ok alle criptovalute da parte del governo locale.

In quei giorni il dibattito scatenato dalla decisione del CTS di implementare Bitcoin e altri asset digitali teneva banco sulle nostre pagine e sul feed della stampa internazionale, con gli occhi del mondo puntati sulle determinazioni che Teheran avrebbe intrapreso di lì a breve.

Scelte che trovano conferma ed esempio di fattiva applicazione nel tweet di Alireza Peyman-Pak, funzionario del ministero che regola industria miniere e commercio per conto del governo locale. Governo che già nel 2019 aveva reso legale il mining di criptovalute, e che nel corso degli anni tra ban ed aperture ha espresso umori altalenanti nei confronti dei miner locali, detentori nel 2021 di circa il 4,5% della potenza computazionale totale.

Le autorità locali, per chiudere tornando alla notizia di oggi, hanno fatto inoltre sapere che entro settembre il commercio con paesi esteri selezionati farà in gran parte affidamento su criptovalute e smart contract. Che sia l’inizio di una più ampia de-dollarizzazione?

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