C’è un altro dato che conferma la situazione anomala, la situazione che sarà molto difficile da sbrogliare per Federal Reserve. Oggi sono arrivati dati sull’inflazione in linea con le aspettative, che avevano segnalato un probabile rimbalzo della stessa. In contemporanea ci sono stati altri dati che confermano che il mercato del lavoro non è in condizioni ottimali.
Qualcosa inizia a scricchiolare? I dati sono ancora lontani dai livelli di soglia, ma in peggioramento. E quindi per Federal Reserve entrambe le questioni che dovrebbe tenere sotto controllo si muovono… in direzione contraria. Sale l’inflazione, che richiederebbe dei rialzi dei tassi. Peggiora il mercato del lavoro, che fa tornare ampi spettri di recessione a dominare i mercati. Cosa che – come è noto – dovrebbe in realtà comandare dei tagli. A settembre, a meno di clamorose sorprese, si dovrà tagliare. Ma poi?
Il lavoro conferma di non essere in buona salute
Il lavoro non è certamente in buona salute negli Stati Uniti. Oggi, ignorati perché pubblicati in simultanea con i dati dell’inflazione, sono stati pubblicati anche i dati riguardanti le richieste dei sussidi di disoccupazione.
| Dato | Previsioni | Dato effettivo |
|---|---|---|
| Richieste di sussidio iniziali | 235k | 263k |
| Richieste di sussidio continuative | 1950k | 1939k |
| Media a 4 settimane | 230,75k (precedente) | 240,5k |
Non sono dati sconvolgenti, non sono dati da crisi, ma sono dati che certamente entreranno a far parte delle considerazioni del FOMC (la riunione di Fed che decide i tassi) il prossimo 17 settembre.
Cosa dovrebbero indicare? Una maggiore propensione ai tagli, dato che il mercato del lavoro è in evidente peggioramento. Non sono però – lo ricordiamo ai nostri lettori – gli unici che dovranno essere presi in considerazione.
Scegliere il male minore (e per Bitcoin?)
Ormai dovrebbe essere chiaro che Jerome Powell si troverà a scegliere tra due mali il minore. Quale sarebbe “conveniente” per Bitcoin?
Tesi comune: tagli più rapidi dovrebbero favorire Bitcoin. Segnalerebbero una volontà di Fed di ignorare (o quasi) l’inflazione a favore del sostegno all’economia (e anche alla sostenibilità del debito pubblico).
Tesi meno comune: una fase di fiscal dominance sarebbe un territorio largamente inesplorato. Bitcoin ha le caratteristiche per brillare in una situazione del genere, ma qualche dubbio rimane.
Cosa fare? Rimanere alla finestra, valutare le allocazioni sugli asset più solidi del mercato crypto, cercando – fino a una maggiore chiarezza – di evitare avventure.
Ma io amo il rischio: benissimo, ognuno ha il profilo di rischio che vuole. La tesi però che stiamo maturando – e della quale abbiamo parlato anche martedì sul Magazine Settimanale – è che anche nel rischio si può scegliere qualche asset intelligente e qualche asset meno intelligente.
Sarà molto interessante vedere Jerome Powell parlare in conferenza stampa il 17 settembre – dato che dovrà anche spiegare come si sarà arrivati a certe decisioni.
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Occorre precisare che esistono 2 tipi di inflazione: “cost push” e “demand pull“.
L’inflazione “cost push” deriva dall’incremento dei costi di produzione (materie prime, costo del lavoro, dazi!! ) mentre l’inflazione “deman pull” deriva da un aumento della domanda dei consumatori per beni di consumo e beni durevoli.
Detto ciò credoche l’attenzione della Fed dovrebbe concentrarsi sui dati del lavoro e della disoccupazione che sono in aumento seppur per ora non drammatico.
Ma se i dazi continueranno e cominceranno a farsi sentire anche gli effetti dell‘intelligenza artificiale, degli umanoidi e della robotica la disoccupazione è destinata ad aumentare.
Per curare il malato chiamato stagflazione dovrà esserci un’azione combinata tra politiche monetarie (tassi di interesse – Fed) e politiche economiche (governo).
Good luck!
Non ne sono pienamente convinto Franco, o meglio, non mi hanno mai convinto le superdivisioni dei vettori dell’inflazione che non partono dall’assunto friedmaniano di base, ovvero che l’inflazione è sempre e ovunque un fenomeno monetario.
Le banche centrali giocano al piccolo chimico dell’inflazione da 100 anni o poco meno: la più seria e indipendente delle banche centrali del mondo è da 52 mesi sopra l’abbondante target che hanno inventato dal nulla (non vi è alcun motivo razionale per essere al target del 2% e non dell’1,5% o dell’1.9%). 52 mesi sono tanti, pensare che Fed possa muoversi chirurgicamente è wishful thinking. Per me andremo in fiscal dominance, data anche la scarsa volontà della politica fiscale di darsi una regolata, negli USA come in Francia.
Per anticipare il malato servirebbero correttamente le cose che dici tu. Non accadrà sia per incapacità di Fed (non è colpa loro, a quanto pare è quasi impossibile agire in maniera anti-ciclica quando è provato che le politiche monetarie hanno un lag di 12-18 mesi) sia perché Washington non ha alcuna voglia di tagliare in modo consistente la spesa.
Unica alternativa dati i fattori di cui sopra, secondo me, è monetizzare il debito. I.e. andare in fiscal dominance. PIù facile per gli USA, meno facile per la Francia, che deve decidere tutti gli altri membri.