Il report pubblicato ieri da Bybit – che indica 16 chain come capaci di congelare fondi e trasferimenti a piacimento – ha sollevato il polverone che tutti ci aspettavamo. Sul tema è intervenuto anche il leader di Solana, Anatoly Yakovenko, con un breve messaggio su X.
Questo è un precedente orribile e inutile, indicando poi altre questioni che riguardano questo modo di gestire le proprie chain (non Solana, le altre) e le motivazioni addotte a giustificazione di questo modus operandi. La discussione che ne potrebbe venire fuori è interessante – e per questo vale la pena di farla anche su Criptovaluta.it®.
Ma salvateci dagli hacker, amen
Per capire di cosa stiamo parlando, bisognerà fare qualche passo indietro. Bybit ha pubblicato ieri un paper che accusa, con dovizia di particolari tecnici, 16 chain di integrare funzionalità che permettono di congelare i fondi degli utenti.
In un mondo dove – almeno a chiacchiere – la decentralizzazione è uno dei valori di base, il paper non poteva che sollevare un enorme polverone. Sul tema è intervenuto anche Anatoly Yakovenko di Solana, che scrive sul suo account X:
È un precedente orribile e inutile. Come può qualcuno con capacità di freeze individuare l’hack prima che gli attaccanti spargano i fondi su diversi mercati e bridge? Sui network ad alta performance i fondi si muovono in millisecondi e non c’è modo di computare il singolo set di account.
E ha poi aggiunto:
Se l’hack lascia i fondi degli attaccanti fermi da qualche parte, un hard fork in stile DAO può essere fatto, senza che sia garantita a qualcuno l’autorità per congelare i fondi. Mi sembra più un “teatro” per la sicurezza che un vettore di attacco del quale dovremmo preoccuparci.
Più in breve: Yakovenko dice che – soprattutto sui network ad alte prestazioni – avere il potere di freeze non serve a nulla. Perché comunque è difficile se non impossibile intervenire ex post.
Hack, problemi per gli istituzionali e vecchio mondo che fu
Allo scopo di sollecitare una sana discussione sul nostro Canale Telegram, aggiungiamo qualche dettaglio.
Il vecchio mondo che fu, quello dove girano comunque il grosso degli affari ancora oggi, nella stragrande maggioranza dei casi si può invertire una singola transazione quando c’è stato un errore. Anzi, chi fa clearance si dota o di servizi interni oppure di servizi terzi che correggono ogni giorno migliaia di errori.
Nel mondo blockchain, dove il tempo si muove scandito dai blocchi, questo è molto più difficile: non si può tornare indietro, se non coordinandosi (vedi caso DAO Ethereum che è stato ricordato da Yakovenko).
Si può però, nel caso di certi token (immaginiamo le stablecoin, ma sarà uguale per gli asset tokenizzati), congelare ex post, senza toccare la chain. Quindi almeno per gli istituzionali la questione “reversibilità”, almeno su asset RWA, non dovrebbe porsi.
Il bilanciamento – che dipenderà dalle scelte tecniche di ciascuna chain – sarà tra l’offrire transazioni in un certo senso reversibili (con congelamenti a posteriori) e relativa neutralità e decentralizzazione del network.
La domanda importante è però un’altra:
Quanto ci si può fidare di una chain che un gruppo ristretto di persone può spegnere a piacimento?
E in quel caso, non sarebbe comunque migliore un caro vecchio database centralizzato?
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