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Ubisoft ritratta: “Cerchiamo la quadra” | NFT e gaming vicini alla svolta?

Ubisoft torna alla carica e spedisce al mittente le accuse di una gestione poco corretta su NFT e mercato secondario. E lo fa attraverso una quasi ammissione di responsabilità, ma con riserva. A parlare per l’azienda è il CEO Yves Guillemot, secondo il quale le intenzioni del gruppo sarebbero state mal interpretate dai gamer.

Nel tentativo di spegnere l’incendio si rischia di gettare involontariamente benzina sul fuoco, mentre l’industria del gaming procede spedita in tutt’altra direzione.

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Ubisoft ci ripensa, o meglio, sta ancora trovando la quadra

Ubisoft sarebbe ancora impegnata nel trovare la quadra intorno al delicato tema dei NFT in-game e soprattutto della loro spendibilità come asset da scambiare sul mercato secondario. Il condizionale però è d’obbligo, visto che le ultime dichiarazioni rilasciate dal CEO in persona suonano vagamente come un tentativo di mettere la classica pezza a giochi fatti.

Stiamo seriamente esplorando tutte le tecnologie con tutte le declinazioni che ne derivano. Siamo sul pezzo per quanto riguarda cloud e ultima generazione di voxel, e stiamo valutando tutte le funzionalità che arrivano dal Web3. Dobbiamo capire come sfruttare tali tecnologie in ambito gaming. Forse non siamo stati chiari in passato nel dire che eravamo in modalità ricerca, e lo siamo ancora. Avremmo dovuto comunicare che stavamo lavorando per trovare soluzioni in grado di offrire vantaggi tangibili, e che le avremmo annunciate appena pronte. Abbiamo esplorato AR e Wii molto presto, siamo sempre alla ricerca di nuove soluzioni. A volte ci riusciamo, a volte no, ma l’obiettivo è sempre quello di poter offrire nuove e interessanti funzionalità ai giocatori.

Abbiamo sintetizzato così il lungo statement di Yves Guillemot, CEO di Ubisoft, che stando alla dichiarazione sarebbe ancora sul pezzo ma che di fatto ancora non mostra effettive integrazioni di Non Fungible Token nel suo ecosistema.

Il dirigente affronta, e a dirla tutta senza sembrare troppo convincente, alcuni punti evidentemente ancora caldi. Lontani nel tempo, considerando la velocità con la quale il crypto gaming si evolve a suon di aggiornamenti e investimenti, ma evidentemente ancora vivi.

I giocatori protestano, spesso a ragione

Eravamo sul finire dello scorso anno quando Ubisoft e Tezos avevano annunciato l’accordo sul quale fondare la svolta Web3 e che avrebbe portato a integrare i Non Fungible Token nei titoli di prossima uscita. In quella occasione sottolineavamo anche come la software house fosse nell’orbita Tezos già da tempo, e di come il baker sarebbe risultato centrale nell’importante evoluzione on chain del produttore.

Ai tempi si parlava di skin e altri item da poter scambiare liberamente nel gioco, cosa che poi ha preso una piega diversa fino a incontrare il parere avverso della comunità. Vi consigliamo di rileggere l’articolo per un recap più esaustivo. Le critiche dei gamer non si sono fatte attendere nemmeno in occasione dei scuccessivi annunci di primavera, con Ubisoft restìa a imparare dalla lezione Ghost Recon e ancora una volta intenzionata a rimanere ferma sulle sue posizioni.

Questioni che rimangono molto spinose

Posizioni che Yves Guillemot cerca oggi di spiegare con dichiarazioni che assomigliano a un goffo tentativo di prendere tempo, in attesa di quelle nuove e interessanti soluzioni che però ancora tardano a palesarsi.

Un pubblico che in fatto di giochi su blockchain ha le idee chiare: a tirare di più sono i titoli P2E in cui sicurezza, capitalizzazione e libero mercato sono in cima alle priorità. E mentre Ubisoft cerca di prendere tempo, anche i più rigidi rappresentanti delle software house vecchio stile sembrano compiere timidi passi in avanti, vedi Microsoft che sussurra ai gamer, ma con riserva.

Chi invece ribadisce il suo no secco al P2E è Blizzard, azienda dal ban facile e dalle posizioni ancor più rigide di quelle mostrate da Ubisoft: consigliamo a Yves Guillemot un approfondito ripasso della vicenda Diablo Immortals per trarre ispirazione su come non si imposta un progetto play-to-earn. Anche se, in quel caso, di P2E non c’è nemmeno l’intenzione, come ci fanno notare i lettori più attenti.

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