Spesso vi chiedete chi sia realmente il “padrone” di Ethereum, chi controlla la rete e chi può davvero influenzare le sorti del progetto. A dire il vero non esiste ancora qualcuno con un potere così grande, essendo la supply ancora sufficientemente decentralizzata ed essendo lo sviluppo stesso del codice di Ethereum affidato a una community ampia e distribuita di sviluppatori e team indipendenti.
Potremmo parlare di un’eccessiva concentrazione dello staking in mano ad alcuni attori, che potenzialmente potrebbe portare a problemi sul lato del consenso e del controllo della censura, ma ad oggi questi rischi risultano ancora lontani.
Senza parlare del fatto che un coordinamento del genere, finalizzato a “creare scompiglio” sul network, costerebbe molto in termini economici e minerebbe la fiducia nella rete, danneggiando proprio chi detiene una posizione dominante.
Eppure, questo non significa che tutti i partecipanti alla rete abbiano lo stesso peso: alcuni, pur non essendo “capi” del network, detengono abbastanza coins da poter muovere il prezzo di qualche punto percentuale. In questo articolo vi proponiamo una panoramica sulla distribuzione di ETH, mostrandovi chi possiede la quota maggiore di monete.
Ethereum staking: come sono distribuiti i validatori?
Partiamo dallo staking, che è la componente dove troviamo la maggior concentrazione di valore economico attorno alla rete Ethereum. Su una supply circolante di 120,7 milioni di ETH, possiamo vedere dai dati Dune come le monete depositate sulla Beacon Chain siano circa il 29,17%. In totale 36,1 milioni di ETH sono bloccati in stake attorno a 1,1 milioni di validatori.
Lido appare come il più grande fornitore di liquid staking, con un market share del 25,1% su tutte le coins impegnate, con oltre 9 milioni di ETH in gestione. In passato si è parlato molto della “centralizzazione” di Lido e dei rischi di un superamento della soglia critica del 33% che aprirebbe le porte a potenziali problemi nella finalizzazione dei blocchi. Tuttavia questa piattaforma custodisce quote dello stake per migliaia di utenti ed è sbagliato parlare di “singola entità”.

Altri stakers di Ethereum con importanti quote sono Binance, con 3 milioni di ETH, Coinbase, con 2,5 milioni, ed Ether.fi con 2,4 milioni. Seguono poi numerosi gestori meno impattanti come Kiln, Figment, Kraken, Rocket Pool, Everstake, Okx, Blockdaemon ed Upbit.
Le tesorerie con più ETH
Negli ultimi mesi diverse società private e quotate hanno iniziato ad accumulare Ethereum nei propri bilanci, seguendo in parte il modello di Microstrategy con Bitcoin. Ad oggi oltre 2 milioni di ETH sono custoditi da una lunga lista di operatori, alcuni di essi attivi in comparti esterni al mondo crypto, ma con un interesse speculativo per la moneta.
Al primo posto siede Sharplink Gaming, società del settore gaming con in grembo 360.800 ETH, seguita da Bitmine Immersion Tech, specializza nel mining, che riporta un bilancio di 300.000 ETH. Chiude il podio con 237.500 ETH l’Ethereum Foundation, che fino a poco fa era in cima alla classifica ma è stata sorpassata da un accumulo sfrenato da parte delle attuali teste di serie.
Da menzionare anche The Ether Machine, Pulsechain, Coinbase, Bit Digital e Golem Foundation, tutte realtà che posseggono più di 100.000 ETH. Cifre più modeste invece sono i mano al Governo degli Stati Uniti, e a varie DAO dell’ecosistema Ethereum.

Ethereum ETF: i fondi più bullish su ETH
Non possiamo certamente escludere i tanto amati fondi quotati in borsa su Ethereum, che da un anno a questa parte hanno svolto un ruolo cruciale nel sostegno della domanda per la criptovaluta. Attualmente ci sono oltre 5,1 milioni di ETH custoditi dai vari asset manager statunitensi, per una quota pari al 4,1% della supply circolante.
BlackRock è indubbiamente l’issuer più grande, con un 2,53 milioni di ETH come holding. Secondo posto per Grayscale con 1,1 milioni di ETH reduci dal suo vecchio trust, poi convertito in ETF, a cui dobbiamo sommare anche il fondo mini che vanta 545.000 ETH.
Medaglia di bronzo per Fidelity con 612.000 ETH, seguita da quote minoritarie in mano a Bitwise, VanEck, Franklink Templeton, 21Shasres ed Invesco. Anche in questo caso è inopportuno parlare di concentrazione degli ETH, visto che ogni gestore custodisce le monete per conto di migliaia di clienti, siano essi retail o istituzionali.

CEX ed Ethereum: chi ETH sono custoditi all’interno degli exchange?
Un numero molto importante di ETH è ancora oggi custodito all’interno dei numerosi exchange di criptovalute, che ovviamente hanno in mano i fondi di milioni di utenti. Parliamo di 19,4 milioni di ETH, una cifra che vale oltre $70 miliardi di dollari. Il dato è in forte calo rispetto agli ultimi anni ma c’è ancora una mole di coins significativa, che esclude qualsiasi teoria stramba di supply shock data dalla presunta “assenza” di offerta, come spesso si sente riportare sui social.
Binance è ovviamente il CEX con più monete nei suoi vari cold wallet, per un totale di 4,4 milioni di ETH. Il secondo posto è di Bitfinex, storica piattaforma di scambio, che possiede ancora oggi ben 1,6 milioni di ether, Da sottolineare anche le holdings di Robinhood, sebbene non sia un exchange in senso stretto, che ammontano a 1,5 milioni di monete.
Buoni numeri anche per altri CEX di rilievo tra cui Bybit, Bitget, OKX, Crypto.com e Kraken. A tal proposito, se volete acquistare qualche ETH, ecco per voi un bonus fino a +$5.000 per chi si iscrive su Bybit, basta cliccare sul link e completare le attività!

Quanti ETH ci sono nei layer-2?
Anche i layer-2 di Ethereum, in qualità di reti di secondo livello che svolgono un importante ruolo per la scalabilità, concentrano grandi quote di ETH bridgate dalla community. La più grande “ether economies” è quella di Arbitrum che vanta 940.000 ETH esportati dal L1, mentre la seconda non poteva che essere Base, infrastruttura gestita dall’exchange Coinbase, con 856.000 ETH.
Poi troviamo l’OP Mainet con 277.000 coins, a cui seguono Polygon Pos, Mantle, Linea, Blast, Starknet, Scroll, Eclipse e Manta. Complessivamente abbiamo 2,76 milioni di ETH distribuite su una moltitudine di chain collegata al network principale.

Chi manca all’appello? Altre entità con riserve significative di ETH
Chiudiamo questa rassegna riportando altre varie entità che possiedono una bag consistente di ETH e che meritano la nostra attenzione. Postazione d’onore per il nostro amico Vitalik Buterin, co-fondatore di Ethereum, che autonomamente custodisce ben 240.000 ETH. Come singoli individui citiamo anche Arthur Hayes, ex CEO di Bitmex, che custodisce 4.100 ETH.
Molto più consistente invece è la somma di ETH e delle varie versioni di liquid staking/restaking che sono bloccate in lending su Aave, per un totale di 3,78 milioni di coins. Sostanziose anche le 1,4 milioni di monete gestite da Eigenlayer, anche se qui parliamo di ETH intrecciati in meccanismi più sofisticati
Fino ad ora abbiamo tracciato circa il 60% della supply circolante di ETH: il restante è diviso tra un ampia gamme di wallet di investitori personali, wallet multisig, bridge, protocolli DeFi e desk OTC. E tu invece, quanti ETH hai in portafoglio? Scrivicelo nei commenti!
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“essendo lo sviluppo stesso del codice di Ethereum affidato a una community ampia e distribuita di sviluppatori e team indipendenti.”
No, discorso vecchio e trito: su decisioni importanti per la direzione del protocollo decide Buterin e una sua cerchia ristretta. E’ proprio questa la value proposition principale di una altcoin (con tutti i tradeoffs del caso). Gli “sviluppatori indipendenti”, se dissentissero, potrebbero fare il loro fork: Eth Classic 2 che andrebbe a zero, poiché il valore della chain coincide appunto con il carisma/fiducia di un gruppo ristretto di devs in grado appunto di imporre agevolmente cambiamenti, marketizzata come “capacità di innovare, non come Bitcoin noioso, obsoleto” ecc.
Discorso valido per tutte le altcoins: devono centralizzarsi per poter competere con Bitcoin (competere nel senso di strappare una fetta dell’utenza più ingenua), altrimenti, senza la “capacità di innovare”, che, vedi sopra, richiede central control, non avrebbero nulla di non replicabile su Bitcoin (nel caso di reali innovazioni senza tradeoffs sulla decentralizzazione, se in futuro arrivassero). La possibilità di cambiamenti frequenti e agevoli è l’unica cosa non trasportabile su Bitcoin, che tende all’ossificazione (conseguenza della decentralizzazione e feature, not a bug, per il suo caso d’uso, che poi è quello più impattante).
Non è che le alt non abbiano usi e utilità: anche se sono fondamentalmente centralizzate (Eth meno dei suoi competitors, ma comunque) lo sono sempre meno di businesses tradizionali e sono comunque in grado di levare un bel po’ di friction/consentono di sperimentare primitive più facilmente che se dovessero essere implementate da subito con totale decentralizzazione (per molte non è proprio possibile). Ma sul discorso decentralizzazione: no, è falso adesso, sarà falso anche con Eth a 10k o anche se flippasse Bitcoin (cosa comunque estremamente improbabile): anche NVIDIA è più grande di Bitcoin (per ora almeno).
Non importa quanto sia distribuito lo stake (peraltro bisognerebbe vedere i Sybil). Non è quello che discrimina.