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Token criptovalute, due terzi valgono meno di quanto pensiate

6 anni fa
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Oltre due terzi dei token criptovalutari small-cap che sono stati distribuiti agli investitori mediante le ICO attualmente valgono meno delle startup che li hanno generati grazie al crowdfunding.

Token, non sempre un buon affare acquistarli nelle ICO

Secondo il rapporto, realizzato dalla società di ricerca Diar, 564 token condivisi con le ICO, e classificabili come appartenenti a piccole o medie attività, sono stati responsabili di una perdita collettiva di 5 miliardi di dollari in valore nominale, rispetto a quello che le vendite dei “gettoni” hanno effettivamente generato per i rispettivi team, con il 70% delle singole criptovalute che, dunque, si rivela essere in perdita.

Altrettanto notevole è il fatto che 324 token – che hanno raccolto 2,3 miliardi di dollari in totale – devono ancora convincere uno qualsiasi dei tanti exchange in circolazione di poter essere ammessi alle negoziazioni. Altri 44 token, che hanno raccolto un totale di 1 miliardo di dollari, sono invece stati quotati almeno su una borsa, ma non hanno praticamente alcun volume di scambio.

Secondo il  report, il peggior token sembra essere quello di Sirin Labs (SRN), una startup che sviluppa un “blockchain phone” chiamato “Finney”. Con 158 milioni di dollari di finanziamenti ottenuti attraverso l’ICO, SRN ha visto il suo valore decrescere di oltre 141 milioni di dollari, con una flessione di oltre l’89% in soli nove mesi.

Parte della ragione per le scarse prestazioni di SRN potrebbe derivare da una concorrenza inaspettata nel mercato della telefonia blockchain. Come riportato da CCN, il produttore di smartphone HTC, che nel suo periodo di massimo splendore ha prodotto quasi il 10% di tutti gli smartphone a livello globale, prevede tra i suoi progetti anche quello di rilasciare un telefono basato sulla blockchain, soprannominato HTC Exodus.

ICO, un business da 20 miliardi di dollari nel 2018

Sorprendentemente, i rendimenti in calo non sembrano allontanare gli investitori dalle ICO, anche se l’interesse generale dei consumatori per la criptovaluta ha raggiunto un punto di minimo relativo. Le stime sulla raccolta di fondi ICO variano molto, ma CoinSchedule, che ha registrato i dati relativi alle vendite di 789 token quest’anno, stima che le startup blockchain abbiano collettivamente raccolto più di 20 miliardi di dollari nel 2018.

Se i dati di CoinSchedule dovessero essere confermati almeno in buona parte, significa che le ICO hanno raccolto oltre 1 miliardo di dollari al mese, con la sola eccezione dei mesi di agosto e luglio. Detto questo, anche se le ICO hanno collettivamente raccolto una somma impressionante in questi mesi del 2018, i singoli progetti hanno spesso faticato per raggiungere i loro obiettivi di raccolta fondi. Secondo CoinSchedule, solo 20 emittenti di token hanno superato i loro obiettivi, mentre 402 (il 51 percento) ha raccolto meno della metà di quanto avesse posto come obiettivo.

Una probabile spiegazione per la perdurante popolarità degli ICO è che gli investitori sono disposti a piazzare scommesse su una varietà di token nella speranza che almeno una delle “puntate” possa andare a buon fine, compensando magari i flop. Di fatti, mentre le ICO al di fuori dell’indice large cap hanno collettivamente riportato rendimenti pessimi, quelli che sono riusciti a farsi strada nella lista delle 15 maggiori criptovalute per capitalizzazione di mercato hanno fornito ai primi investitori enormi ritorni sugli investimenti.

Su tutti, si dia uno sguardo alle vendite di token di Cardano, IOTA, Tron ​​e NEO, che hanno raccolto complessivamente 137,3 milioni di dollari e che, anche dopo aver perso l’80% o più dai loro massimi storici, oggi hanno una valutazione complessiva di quasi 6,4 miliardi di dollari, con un ROI superiore al 4,500%.

Alessio Ippolito

Imprenditore digitale e giornalista - mi occupo di business online dal 2008. Sono il founder della ALESSIO IPPOLITO S.R.L., società proprietaria della testata Criptovaluta.it e del noto giornale finanziario TradingOnline.com, di cui ne sono anche il direttore responsabile.

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