Con l’avvicinarsi delle prime scadenze per il versamento delle imposte sulle criptovalute, è fondamentale avere le idee chiare su cosa dichiarare, quanto pagare e quando farlo. Anche nel 2025, chi possiede asset digitali o ha generato guadagni con operazioni crypto è tenuto a rispettare obblighi fiscali precisi, sia in termini di monitoraggio sia di tassazione.
In questo articolo analizziamo in modo semplice e pratico tutto ciò che c’è da sapere per affrontare la dichiarazione fiscale delle criptovalute nel 2025: obblighi, modelli da compilare, imposte da versare e date da non dimenticare. E se tutto questo ti sembra complicato, non preoccuparti: esiste uno strumento che può semplificare l’intero processo. Si chiama Okipo (questo il suo sito ufficiale) e lo vedremo nel dettaglio alla fine dell’articolo.
La Legge di Bilancio 2023 stabilisce in modo chiaro che le criptovalute rientrano all’interno di una categoria di asset soggette ad obblighi fiscali. Vengono definite dal legislatore come rappresentazioni digitali di valore o diritti trasferibili e registrabili tramite tecnologie come la blockchain. Così come altri strumenti finanziari, anche le cosiddette cripto-attività devono essere tracciate e rendicontate, secondo modalità precise che variano a seconda della tipologia di operazione svolta.
Nel contesto fiscale italiano, è importante distinguere tra due aspetti: da una parte, il possesso delle cripto-attività; dall’altra, i guadagni realizzati tramite la loro vendita. A ciascuno di questi corrisponde una procedura dichiarativa specifica e distinta, con quadri diversi da compilare e scadenze da rispettare.
Il possesso di criptovalute, indipendentemente dal loro valore o dalla modalità di custodia, deve essere dichiarato nel Quadro RW del Modello Redditi Persone Fisiche oppure nel Quadro W del Modello 730. Entrambe le sezioni sono dedicate al monitoraggio delle attività finanziarie detenute all’estero, categoria nella quale rientrano anche le cripto-attività.
Nel dettaglio, occorre indicare il valore iniziale e finale complessivo delle criptovalute detenute nel corso del periodo d’imposta di riferimento. Questo dato è fondamentale per il calcolo dell’imposta sul valore delle cripto-attività (IC), fissata nella misura dello 0,2% sul totale del patrimonio in cripto al 31 dicembre. Ad esempio, per chi possiede 100.000 euro in criptovalute a fine anno, l’imposta da versare sarà pari a 200 euro. Il pagamento avviene tramite il modello F24, accedendo alla sezione quadro “Erario” e utilizzando i codici tributo predisposti: 1727 per l’imposta dell’anno precedente, 1728 e 1729 per eventuali acconti*.
È bene ricordare che, nel caso di wallet non custodial o exchange esteri, l’obbligo di versamento dell’IC sussiste solo se l’importo dovuto supera i 12 euro. Al di sotto di questa soglia, si applica un’esenzione. Diversamente, se si utilizzano intermediari abilitati come sostituti d’imposta, l’imposta viene comunque trattenuta automaticamente, anche per importi inferiori e viene dedotta automaticamente ad inizio anno.
Il contribuente rimane comunque responsabile della corretta compilazione e del rispetto delle scadenze, in quanto errori o omissioni possono comportare sanzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Oltre al possesso, un altro obbligo fiscale riguarda le plusvalenze generate dalla compravendita di criptovalute. Questi profitti vanno indicati nel Quadro RT del Modello Redditi Persone Fisiche, oppure nel Quadro T del Modello 730, a seconda della modalità dichiarativa adottata. A differenza del Quadro RW, che ha solo funzione di monitoraggio, il Quadro RT/T comporta il pagamento delle imposte dovute.
La normativa vigente prevede un’aliquota pari al 26% sulle plusvalenze realizzate nel 2025. Ciò significa che, ad esempio, su un guadagno di 5.000 euro ottenuto dalla vendita di criptovalute, si dovranno versare 780 euro di imposte ((5.000€ – 2.000€) x 26%). Dal 2026, tuttavia, è previsto un aumento dell’aliquota al 33%, rendendo quest’anno l’ultimo con tassazione relativamente più favorevole. Da segnalare anche l’eliminazione della vecchia soglia di esenzione dei 2.000 euro: oggi ogni plusvalenza va dichiarata, anche se di importo minimo.
Nota: per l’anno d’imposta 2024 resta applicabile la cosiddetta franchigia di 2.000 euro, chiarita recentemente dall’Agenzia delle Entrate. L’imposta si applica solo sulla parte eccedente tale soglia. Chi ha pagato su tutto l’importo può richiedere un rimborso fino a 520 euro!
Il versamento delle imposte avviene tramite modello F24, utilizzando il codice tributo 1716. Anche in questo caso, è fondamentale compilare correttamente i dati per evitare errori che possono scatenare sanzioni accompagnate da salate multe pecuniarie.
Chi possiede criptovalute o ha realizzato guadagni deve rispettare precise scadenze ai fini della dichiarazione fiscale del 2025. Il mancato rispetto di questi termini può comportare sanzioni, interessi e difficoltà nella regolarizzazione.
La prima data da segnare è il 30 giugno 2025, termine entro il quale devono essere versate sia l’imposta di bollo sul possesso delle cripto-attività, sia le imposte sulle plusvalenze realizzate nel 2024. Entro questa stessa data va saldata anche la prima rata di acconto IRPEF per l’anno in corso. Chi non riesce a rispettare questa scadenza può effettuare i versamenti entro il 31 luglio, ma con una maggiorazione dello 0,4% sull’importo dovuto.
Il 30 settembre 2025 è la scadenza per l’invio dei Quadri W e T tramite il modello 730. Per chi presenta la dichiarazione con il Modello Redditi Persone Fisiche, il termine per trasmettere i Quadri RW e RT è prorogato al 15 ottobre. In caso di ritardi o correzioni, è comunque possibile inviare una dichiarazione integrativa entro il 29 gennaio 2026, usufruendo di una sanzione ridotta.
Il 30 novembre 2025 è invece la scadenza per chi intende rivalutare il prezzo di carico delle cripto-attività, pagando un’imposta sostitutiva calcolata sui valori al 1° gennaio 2025. Il pagamento può essere effettuato in un’unica soluzione oppure in tre rate, con un interesse del 3% applicato sulla seconda e terza. Infine, il 2 dicembre 2025 è il termine per il versamento della seconda rata di acconto IRPEF, che include anche eventuali imposte sulle plusvalenze da criptovalute.
Gestire la dichiarazione fiscale delle criptovalute può diventare complesso, ma esistono strumenti che semplificano ogni passaggio. Tra le migliori segnaliamo l’App di Okipo, una delle startup italiane più attive nel panorama italiano della tassazione sugli asset digitali.
La piattaforma è progettata per accompagnare l’utente in ogni fase della dichiarazione: dal monitoraggio delle proprie operazioni, fino alla generazione automatica dei moduli fiscali necessari per il versamento delle imposte. Basta collegare gli exchange crypto utilizzati o inserire gli indirizzi dei wallet per ottenere un quadro chiaro e aggiornato del proprio portafoglio.
Il software di Okipo analizza e organizza tutte le operazioni rilevanti: acquisti, vendite, swap, staking, airdrop, NFT, redditi da DeFi. Su questa base, calcola automaticamente plusvalenze e imposta di bollo, producendo i Quadri RW e RT già compilati, insieme ai relativi modelli F24.
A rendere il servizio ancora più solido è il supporto di un team di commercialisti specializzati, pronti a intervenire in caso di dubbi o casistiche particolari. Il sistema è standardizzato, ma offre un grado di personalizzazione adatto sia all’investitore occasionale, sia a chi opera con volumi più consistenti e naviga su diverse chain con wallet multipli.
Questo strumento (OKIPO, ndr) semplifica – e di molto – la dichiarazione fiscale delle criptovalute: automatizza i calcoli, genera i moduli necessari e ti fa risparmiare tempo prezioso. Così puoi concentrarti sulle tue attività senza stress, con la tranquillità di essere sempre in regola con scadenze e obblighi fiscali.
Alessio Ippolito – Direttore Criptovaluta.it
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La cosa non mi compete, perché non sono residente in Italia, e pago le tasse allo stato estero che mi ospita, ma, personalmente, ritengo che lo stato italiano abbia fatto una gran porcata a mettere la "patrimoniale coperta" dello 0,2% sui capitali, per i seguenti, specifici, motivi:
1) aver messo una tassazione peggiorativa su bot giá emessi costituisce, a tutti gli effetti. un default dello stato italiano. Si tratta di un default selettivo (colpisce solo i privati italiani, l'ultima ruota del carro, non si applica né ai privati stranieri, né agli operatori finanziari, né alle partite iva) parziale (colpisce solo una parte del capitale) non conclamato (investitori esteri ed istituzionali non hanno interesse a rilevarlo, perché come detto, non ne sono toccati. Ma nemmeno chi ne é stato colpito, ché cerca di disfarsi del cerino rimastogli in mano, sul mercato secondario, possibilmente cercando di smollarlo a qualcuno piú sprovveduto di lui)
2) la logica di esproprio dei capitali ("patrimoniale coperta" di cui sopra) colpisce, apparentemente, solo quelli fruttiferi. Infatti vengono tassati i fondi sui conti deposito, ma non quelli sui conti correnti ordinari. Quelli investiti in azioni, obbligazioni e titoli di stato, ma non i contanti nelle cassette di sicurezza, neanche se dichiarati. Spregevole eccezione é stata fatta per le criptovalute, tassate dello 0,2% (sempre solo per gli investitori privati italiani, sotto forma di "bollo") anche se infruttifere e, peggio ancora, in perdita.
Se stessi ancora in Italia rileverei, nelle sedi competenti, questa differenza di trattamento tra investitori (proibita dalla Costituzione, che prevede trattamenti uguali per identiche fattispecie). Ma, invece, vedo che tutto tace, anzi si collabora con lo stato a far pagare (gli altri). Che devo dirvi... buona tassazione a tutti voi che non avete avuto il coraggio di scapparvene da lí, in tempo!