Mentre tutti guardavano al dito (l’enorme quantità di Bitcoin e Ethereum accumulati dagli ETF), la luna andava per fatti suoi. È vero che si sta (ri)proponendo uno scontro tra mondo decentralizzato crypto e mondo della vecchia finanza, ma non nei termini che purtroppo affollano i social network.
Gli attacchi per il controllo del futuro della finanza sono già evidenti, sotto gli occhi di tutti, simili ad attacchi che in passato avevano fallito, ma non per questo da ignorare o sottovalutare.
Pubblico contro privato, aperto contro chiuso, libero accesso contro il solito gala per gli amici degli amici, che favorisce pochi a scapito di molti. Le ultime evoluzioni settimanali del mondo crypto ci ricordano che abbassare la guardia non ha senso. E che anzi, adesso è il momento peggiore per farlo.
Ci aveva provato JPMorgan senza grosso successo (ed è forse per questo che Jamie Dimon, CEO del gruppo bancario di cui sopra, detesta così tanto il settore), ci avevano provato anche innumerevoli banche d’affari, spesso di concerto con enti pubblici di enormi dimensioni. Risultati, per ora, scadenti. Nonostante ciò però ci si riprova, e ne è la prova la blockchain di layer 1 annunciata da Ondo Finance.
Non è un attacco a Ondo, ma la fotografia del fatto che certi meccanismi del 2018 e del 2021 si stanno riproponendo. Quello che ne viene fuori è un costoso database che della blockchain ha solo la forma, senza averne l’essenza.
Una blockchain con pochi validator, tra le altre cose spesso completamente allineati negli intenti. Si può certamente fare, ma il risultato che ne viene fuori non è molto diverso da un database centralizzato che poco offre all’investitore, se non la forma di un token che comunque gli può essere tolto dalle mani a piacimento.
Qui si apre la questione che personalmente ho provato a dibattere anche su X. Non è detto che gli asset centralizzati come le azioni, gli ETF, i bond abbiano necessariamente bisogno di network centralizzati.
Si obietterà: se un token ha un riferimento verso un asset esterno – come le quote di una società, allora la centralizzazione è già tale da rendere digeribile una centralizzazione anche del network che ne gestisce assegnazione di diritti di proprietà e trasferimento.
Ci sono due possibili risposte a una visione di questo tipo, che potrebbe anche essere considerata come corretta:
Stiamo benissimo con i mercati centralizzati, con la clearance svolta da un’autorità privata (o pubblica) e un database unico dove possono scrivere in pochi.
Il problema non può essere risolto. Dato che le azioni oggi sono nominali, così come lo sono di fatto tutti i titoli finanziari, utilizzare sistemi decentralizzati non ha alcun senso. Essere su reti apparentemente decentralizzate ma dove è necessario indentificarsi e in whitelist è assolutamente identico, lato utente, ai sistemi tradizionali.
Si può avere più coraggio. Negli ultimi 20 anni la repressione finanziaria ha raggiunto livelli che sarebbero impossibili da spiegare ai nostri nonni. Massima trasparenza del cittadino a fronte di una scarsa trasparenza del settore pubblico. Tutto tracciabile e tutto tracciato, partendo dal presupposto che dietro ogni detentore di asset si nasconda sempre e comunque un delinquente fino a prova contraria.
La rivoluzione arriverà da altrove e non certamente dalla tokenizzazione degli asset su chain private. Arriverà dalle nuove modalità di finanziamento di imprese che non passeranno dalle borse (ma dai dex e dal lancio di token-quota) e, questo è quello che spera chi vi scrive, anche da maggiori pressioni da parte di gestori come BlackRock ad avere un mondo finanziario che sia meno un enorme Panopticon anche per chi detiene un pugno di titoli.
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