Ormai è sotto gli occhi di tutti: le monete stablecoin si sono affermate come una delle tecnologie più emergenti e di successo dell’intero spazio crypto. Sono probabilmente l’unico esempio di infrastruttura crittografica ad aver trovato un perfetto “product market-fit”, sia per l’utente retail che per i mercati istituzionali.
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Tutto sembra funzionare alla perfezione: vediamo una domanda costantemente in salita per queste valute, gli emittenti che generano profitti record e persino la finanza tradizionale che sta iniziando ad integrarle nei propri circuiti, visti gli evidenti vantaggi.
C’è però un dettaglio che spesso in pochi colgono, o che viene tendenzialmente ignorato, ma che è di fondamentale importanza, se si vuole rimanere coerenti con l’identità e la natura delle valute crittografiche: il progressivo abbandono della decentralizzazione.
Le stablecoin, per quanto possano essere rivoluzionarie, non sono disruptive, nel senso che non riescono (e non ambiscono) a rompere il modello fiat, ma di fatto lo affiancano. Vediamo sempre di progetti di questa nicchia che adottano discutibili sistemi di censura lasciando da parte quella componente anarchica e trustless che ha caratterizzato le origini del settore. Ma tutto questo deve essere necessariamente un problema? Lo scopriamo in questo articolo.
Chiunque non sia stato in coma negli ultimi 2 anni, si sarà sicuramente accorto dell’enorme boom delle stablecoin nel settore crypto. Se a giugno 2023 potevamo trovare una capitalizzazione circolante di queste valute pari a $125 miliardi, oggi il numero è più che raddoppiato, intraprendendo una traiettoria parabolica indipendente rispetto all’andamento generale del mercato. Oltre $252 miliardi di stablecoin contribuiscono ad alimentare la liquidità delle borse di trading, e a fornire le basi per un’economia DeFi sempre più florida.
Le società che emettono e gestiscono queste valute sono in assoluto le più profittevoli dell’intero ecosistema. Tether e Circle si contendono circa il 90% delle quote di mercato, con ricavi fuori di testa da centinaia di milioni di dollari ogni mese. Di recente c’è stata anche la consacrazione di questo business tra i giganti della finanza, con Circle che si è quotata a Wall Street con risultati sin da subito pazzeschi. Al momento viene negoziata con un P/E ratio che sembra totalmente eccessivo, se non fosse per l’ottimismo sfrenato degli investitori, che vogliono cavalcare a tutti i costi questa nuova narrativa vincente
La narrativa delle stablecoin, a proposito, si sta ora espandendo verso orizzonti fino ad ora considerati “off-limits”. Inizialmente questi asset servivano solo ed esclusivamente come base solida esente da volatilità per le contrattazioni su cui parcheggiare la propria liquidità e scambiare valore a basso costo. Con il tempo però questo concetto è stato rivisitato ed ampliato fino a trasformare le stablecoin in strumenti di rendimento, abilitando casi d’uso specifici all’interno dei protocolli DeFi.
Ecco ora, stiamo assistendo ad un ulteriore step in avanti: le stablecoin stanno iniziando ad essere desiderate dalle grandi corporate della TradFi, che vogliono accedere in prima persona a crediti on-chain e a strumenti di yield. Basti pensare agli strumenti RWA che puntando a rendimenti sostenibili basati sui titoli di stato, come USDY di Ondo o USDO di Usual, o a piattaforme come Maple Finance che mettono in contatto i reati con le istituzioni della finanza tradizionale.
Nel frattempo, anche da uno sfondo regolamentare, sembra che il mondo intero ( europa esclusa) sia pronto ad accogliere questa nuova asset class dominante. Negli Stati Uniti si è in pole-position per l’approvazione del Genius Act, primo inquadramento normativo che legittima le stablecoin fiat-backed nel Paese, con la palla che ora è al Senato. Tutto questo, nonostante sia estremamente positivo per il successo dell’intero mondo crypto, ci ricorda come in realtà siamo ancora molto lontani dalla visione originaria introdotta con Bitcoin.
Ciò che frena l’entusiasmo per il trionfo delle stablecoin, come accennato nell’introduzione, è il compromesso a cui sono dovute scendere per portare l’adozione e le future prospettive agli attuali livelli. Nasce il cosiddetto “trilemma delle stablecoin”, che prende spunto dal trilemma delle blockchain introdotto da Vitalik Buterin nel 2018, ma adattato al contesto di queste valute. Nessuna stablecoin ad oggi riesce ad essere contemporaneamente stabile di valore, efficiente nel capitale e decentralizzata.
Il problema principale di questa logica è la presenza di strutture centralizzate degli intermediari, che possono decidere autonomamente di congelare le monete di determinati indirizzi. Pochissime stablecoin ad oggi sono resistenti alla censura, e quello che ci riescono non sono così affermate e diffuse. Nel tempo ci sono stati esempi di monete che hanno provato a rompere questo trilemma ( ved UST di Terra o DAI di Maker), ma hanno fallito miserabilmente.
Dall’altra parte abbiamo invece stiamo assistendo ad interessantissimi esperimenti, già reduci da un notevole successo, che puntano a migliorare sempre di più gli altri due punti del trilemma: la stabilità del peg e l’efficienza. Stanno nascendo blockchain dedicate esclusivamente allo scambio di stablecoin, come Plasma o Stable, assieme a nuovi metodi per garantire maggiore sicurezza nel garantire un valore stabile nel tempo.
Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti quella che è la direzione del settore stablecoin: si va verso un miglioramento tecnico delle infrastrutture, che diventeranno sempre più efficienti, scalabili ed in grado di offrire servizi finanziari interoperabili tra DeFi e TradFi. Ciò che si andrà invece a sacrificare sarà inevitabilmente la decentralizzazione e quella componente di “assenza di fiducia” che dovrebbe rappresentare il cuore pulsante del mondo crypto.
In definitiva le stablecoin stanno per assumere le sembianze di un prodotto fintech, usufruibile anche dai desk del settore bancario, ma senza i vantaggi di una infrastruttura distribuita ed accessibile liberamente. Questo non deve per forza essere visto con gli occhi di un maximalist furioso che non accetta nessun tipo di compromesso.
C’è però prima di tutto da essere coerenti con sé stessi: Perché usate la blockchain? Perché conservate BTC? Perché vi affidate a Ethereum per operare on-chain? Se la vostra risposta è orientata al guadagno e al profitto, ora non dovreste farvi problemi ad utilizzare un super strumento centralizzato, come le stablecoin.
Se però d’altro canto, credete che la blockchain sia l’unica tecnologia capace di offrire privacy e libertà, se pensate che BTC abbia valore in quanto moneta scarsa e slegata dal potere centrale, e allo stesso tempo considerate Ethereum come l’unico motore decentralizzato del web3, allora dovreste riconsiderare le stablecoin e chiedervi se ha davvero senso costruire sulle vecchie fondamenta.
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