La fine di un’era. Le precedenti amministrazioni – e in particolare LA precedente amministrazioni – degli Stati Uniti erano riuscite a tenere separati il mondo crypto e quello bancario a colpi di minacce (parlano chiaro i documenti), costringendo il secondo a rigettare il primo principalmente per paura e non per convenienza stretta.
Ora è tutto finito. Su pressioni dell’attuale amministrazione, le banche potranno e anzi dovranno trattare i clienti crypto – si parla in genere di grandi player e di personaggi visibili del settore – come tutti gli altri. L’annuncio è arrivato dal Comptroller of the Currency – ruolo intraducibile in Italia e in italiano – e che è uno dei (tanti) che si occupa anche di regolamentazione dell’accesso al mondo bancario.
Sono saltate – per dirla più poeticamente – le dighe. E da qui in avanti si torna a una normalità che almeno nella prima economia del mondo, quella americana, non avevamo mai sperimentato.
Le attività crypto saranno permesse per le banche con licenza federale, anche in via indiretta, il che vuol dire anche fornendo banking a quelle società che si occupano di criptovalute. Società che si occupano di criptovalute – come gli exchange – che nel corso degli anni hanno dovuto organizzare indegne processioni da istituto a istituto perché venivano chiusi conti, negati accessi e più in generale bloccata ogni possibilità operativa.
È un passo avanti enorme – che il mercato almeno ad avviso di chi vi scrive non ha prezzato. E che finirà per cambiare tutto, almeno in termini di normalizzazione di un settore che ha dovuto spendere troppe energie per aggirare certi ostacoli.
A oggi l’unico degli exchange quotati in borsa è Coinbase, al quale va certamente riconosciuto il merito di aver schivato tutta una serie di ostacoli che gli altri non hanno tentato di superare. Ora però, con il nuovo clima che si respira a Washington, ne arriveranno degli altri.
Secondo i bene informati, Gemini avrebbe già inviato in via confidenziale il filing per quotarsi in borsa. Kraken lo farà a breve, per essere pronta al listing nel 2026.
Sono buoni segnali: da una quotazione in borsa gli utenti hanno solo da guadagnarne in termini di trasparenza. E chissà che anche in Europa – abbiamo voci non confermate per ora – qualcuno deciderà di fare lo stesso. Per quanto la delusione per ieri sia tanta il mondo sta cambiando – e senza aiutini di sorta.
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