L’assalto delle banche, l’assalto delle autorità e della politica e infine l’assalto anche dei giornalisti. Per il mondo stablecoin, che si è lentamente e pericolosamente costruito con le sue mani, che ha resistito a bear market e a crisi del settore, è il momento di organizzare un’altra resistenza.
Dato che la discussione – passateci il termine – si è fatta demenziale su livelli che non avremmo mai immaginato, sarà il caso di cercare di ristabilire insieme la verità, spiegare a chi è nuovo come funzionano le stablecoin e perché ora ci sono gli occhi più rapaci di tutti a puntarli. Da un lato quelli della vecchia finanza, dall’altro quelli, altrettanto ingordi, della politica.
Rischiosi per il sistema finanziario, troppo ricchi per non essere vigilati passo per passo, stortura che andrà corretta: da Financial Times a pubblicazioni assai più locali e caserecce, siamo di nuovo al solito coro che canta a ogni latitudine la stessa canzone. Prendendo, come spesso accade, qualche steccata.
Cosa sono le stablecoin?
Se sei di quelli che vogliono saperne tutto – qui trovi la nostra guida alle stablecoin. Se sei di quelli pigri che preferiscono la pappa pronta e possibilmente rapida, qui un breve riassunto.
- Valore: il valore delle stablecoin è ancorato a una valuta classica. In genere il dollaro (dell’euro interessa poco anche in questo… contesto)
- Depositi: le stablecoin più rilevanti hanno una riserva 1:1 in asset cash o cash-like. Altri tentano peripezie algoritmiche, salvo poi schiantarsi quasi sempre;
- Cash-like: vuol dire che sono titoli che sono quasi equivalenti al contante, perché sono molto liquidi. Le due principali stablecoin utilizzano in larga parte debito pubblico USA a breve scadenza. Poi spiegheremo perché questo è importante;
- Norme: in Europa è già attivo il MiCA, che – fingiamo stupore – ha ottenuto l’invidiabile risultato di creare un monopolio e di rendere meno sicuro utilizzarli;
- Non sono emessi da banche: sono emessi da società che non hanno neanche autorizzazioni finanziarie (e ora si stanno regolamentando). No, non ha alcun senso considerare le stablecoin al pari di depositi bancari.
- Fanno guadagnare tanto: Tether, la società leader del settore, è ricchissima. Circle comunque ha ricavi per 1,6 miliardi di dollari e presto si quoterà in borsa. La torta stablecoin è succulenta, anche per le grandi banche.
Un articolo farneticante su Financial Times
Anche i grandi talvolta toppano, soprattutto quando di mezzo ci sono soldi veri. A firma di Robert Armstrong di FT è andato online un articolo ai limiti del delirio. Il discorso fatto da Armstrong è il seguente: siccome le stablecoin hanno riserva e sono un passivo della società che li emette, allora sono pari ai conti bancari.
Soltanto che non sono emessi, si lamenta, da banche. Sono meno regolamentati e sono anche più rischiosi. E chiude con una domanda, anzi due, che sono interessanti per sviluppare il discorso anche in ambito europeo:
Sono queste “nuove banche” [gli emittenti di stablecoin, NDR] rischiose? Risolvono un problema che ha bisogno di essere risolto?
Risposta breve: sì, sì. Sono rischiosi – come le banche e forse un pelo di più. E centinaia di migliaia di persone vi ricorrono perché – udite udite – risolvono un problema che, almeno per centinaia di migliaia di persone, andava risolto.
Il pericolo arriva dal sistema bancario tradizionale
Qualcuno dei nostri lettori si sarà stupito nel leggere la prima delle nostre risposte, ovvero il sì alla domande sui rischi. Le emittenti di stablecoin sono rischiose – e ne abbiamo avuto ampia riprova.
- Nel passato: la difficoltà di accesso al mondo bancario da parte dei principali operatori crypto ha reso tante operazioni inutilmente rischiose. Ci si è appoggiati – vedi il caso Tether con Crypto Capital Corp (che utilizzavano anche altri operatori crypto come Kraken) a imprese che operano nel settore del cosiddetto shadow banking. Senza ora entrare nei particolari, si tratta di un settore che opera servizi bancari al di fuori del circuito bancario classico. Non è niente di assurdo: sono società piuttosto popolari in ogni paese che ha un’economia finanziaria sviluppata. Tuttavia si assumono più rischi e trasmettono in genere più rischi. Anche perché quando va gambe all’aria un operatore del settore shadow, difficilmente arrivano i governi (e i soldi pubblici) a salvarlo.
- Nel presente: paradossalmente, almeno per chi ha il livello di malizia di Pollyanna la bambina dell’amore, l’ultimo grande evento-rischio-sistemico per una stablecoin è arrivato dal settore bancario classico, quello protetto da migliaia di norme e dagli occhi vigili dei regolatori. Silicon Valley Bank fallisce e si porta dietro 3,3 miliardi di dollari di depositi di USDC. In breve succede il caos, innescando anche qualche effetto “valanga” e trasmettendo il bank run anche a altri istituti utilizzati da questa emittente.
Come risolverlo?
Il farneticante articolo pubblicato su Financial Times arriva però ad una mezza verità: in linea teorica avere bond di debito sovrano è più sicuro per gli emittenti che detenere depositi in banca.
Questo per una serie di motivi che attengono al funzionamento del sistema bancario in quanto tale:
- Non tutti i depositi sono in banca: per qualcuno sembrerà incredibile, ma le banche non hanno in cassa tutti i soldi che gli avete versato. Devono detenere una frazione minima degli stessi e dunque sono particolarmente esposte al cosiddetto bank run. Ovvero se vi presentate in troppi a chiedere prelievi, la banca va gambe all’aria perché quei soldi non li ha.
Ora immaginate un crollo del mercato crypto – in stile fallimento di Terra Luna o di FTX. In tanti cominciano a chiedere indietro i dollari rappresentati dai token USDT O USDC, questi vanno a prenderli in banca ma… non ce n’è che una piccola porzione. Quindi vanno da un altro istituto – e poi da un altro ancora tra quelli che gli offrono depositi e… il problema che magari era circoscritto ora è diventato sistemico.
- Non puoi assicurare depositi all’infinito: ci sono delle soglie “assicurate” (100k in Europa, 250k negli USA) che sono ovviamente insufficienti a coprire le necessità delle stablecoin.
Date queste condizioni, è evidente che l’ipotesi “depositi in contanti” sia per le emittenti di stablecoin una roulette russa. Ovvero si va a dormire ogni sera nella speranza che non ci siano troppe richieste di conversione da parte dei clienti – e possibilmente che la banca sia ancora lì quando ci si sveglia. Questa speranza si incontra con la realtà quasi ogni mattina. Tranne in quelle mattine in cui tutto viene giù.
- I bond: roba seria e sicura.
Quando a fare da backing alla tua stablecoin hai i bond, il ragionamento è semplice. Quando scadono riprendo tutti i soldi. Ne prendo a breve scadenza, quindi al massimo ho un mismatch tra quando mi chiederanno indietro i soldi e quando i bond andranno a maturazione. In genere questo mismatch è più che gestibile, o avendo un cuscinetto di contante, oppure avendo delle linee di credito, magari garantite dagli stessi bond.
Come dite? Può succedere che gli USA non rimborsino debito a 3 mesi o a 1 mese? Certo che sì, in qualcuno degli universi paralleli che partono da questo preciso istante ce ne sarà almeno uno dove Washington fa default sul debito. Tuttavia, in quelle circostanze, preoccuparsi del valore dei propri dollari – privati e digitali in questo caso – non è che sia una cosa granché utile.
- Il capolavoro europeo: rendere il sistema meno sicuro.
Chi non crede a Criptovaluta.it® può comunque credere a quella dei giornalisti di Financial Times, che arrivano più o meno alle stesse conclusioni (salvo chiedersi a chi servono davvero queste diavolerie!). In questa storia, lunga e noiosa per i non addetti al settore, c’è anche spazio per il genio europeo.
Il MiCA, acronimo che raccoglie un lunghissimo testo che norma il settore crypto, impone alle stablecoin di certe dimensioni riserve contanti per il 60%, chiaramente presso più banche europee, così da trasferire 1:1 la potenziale instabilità del settore crypto al settore bancario. Un obiettivo oggettivamente difficile da raggiungere se si è dei normodotati e si ragiona come tali.