ESMA, che è l’ente che svolge il ruolo di CONSOB a livello europeo, il 31 luglio ha lanciato un importante allarme sugli exchange crypto in relazione all’applicazione del MiCA. La preoccupazione è per tutti quegli operatori registrati regolarmente, che però trasferiscono poi il trading degli utenti in spazi – per quanto virtuali – fuori Europa.
È una pratica in verità assai comune – soprattutto per gli intermediari che offrono trading – e che è più complessa di quanto potrebbe apparire in superficie. Se per gli utenti potrebbe essere estremamente più conveniente partecipare a piazze che non sono segregate, che hanno più liquidità e alle quali partecipano più persone, per ESMA e per l’UE la cosa potrebbe costituire un problema non da poco. Problema che potrebbe, secondo ESMA stessa, mettere a rischio le tutele che MiCA offre agli utenti europei.
La soluzione? Le autorità – che sono nazionali – che offrono licenze, dovrebbero analizzare a fondo il business model degli exchange che richiedono suddetta autorizzazione. Una richiesta che ricorda i vecchi tempi dei primi broker CFD e che portò in realtà a forti disparità di comportamento tra diversi stati, rendendone alcuni (principalmente Cipro) più preferibili di altri.
In realtà per gli utenti poco, nel senso che continueranno a operare nel peggiore dei casi come hanno fatto prima dell’arrivo del MiCA. Il punto centrale sono quei crypto exchange che pur avendo una licenza in Europa, sono titolari di attività principali fuori dai confini UE. Attività principali verso le quali vengono spesso rediretti gli ordini di trading e che non sono soggette per ovvi motivi alle stesse protezioni offerte dal MiCA.
Una questione non solo di trasparenza, perché in realtà i clienti conoscono questa situazione pur non potendola sempre tracciare, ma anche di effettiva efficacia di un MiCA che per ora sembrerebbe essere partito con il piede sbagliato.
Almeno per quanto riguarda la vigenza del MiCA urbi et orbi. Circle, che è la società che emette USDC, ha ottenuto ok in Francia, salvo poi garantire la convertibilità ricorrendo nel caso alla cassa USA. Delle riserve congiunte che renderanno comunque l’attività americana preminente, con modalità di riserva che non rispettano quelle imposte dall’UE.
Per i più cinici, è l’ennesimo caso di una UE che regolamenta salvo poi vedere tutti o quasi gli operatori aggirare tali regole, con il beneplacito delle stesse autorità. Il segno che spesso sembra ci sia più volontà di arrivare primi sulle regole che di crearne di efficaci per la protezione degli utenti e dei clienti finali.
L’altro sospetto è che un sistema di autorizzazioni affidato ai singoli stati creerà, come successo in passato per le piattaforme di trading classiche, un sistema di paesi di serie A e di paesi di serie B, con gli operatori che andranno a ottenere licenza laddove è più semplice farlo, per interpretazioni dei regolamenti più lassiste.
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