Un breve approfondimento pubblicato su Il Manifesto, firmato dalla redazione, riporta la presenza di JD Vance alla convention Bitcoin più importante dell’anno, che per il 2025 si sta tenendo a Las Vegas. Ovviamente il tema è sempre lo stesso: la grande apertura a Bitcoin e crypto dell’attuale amministrazione – che per ora però ha avuto pochi effetti (li vedremo dopo) – sarebbe frutto degli interessi economici diretti della famiglia del presidente nel settore.
Dopotutto, ci ricorda il manifesto, era presente un po’ tutta la claque del presidente: JD Vance, ma anche i figli Eric e Don Jr, senza dimenticare David Sacks (il crypto zar del governo), Cynthia Lummis, senatrice pro-Bitcoin (e anch’essa repubblicana) e poi in ordine sparso altri, tutti di ferma fede repubblicana.
Un affare politico-economico – come dimostrato anche dalla cena tenuta da Trump per gli holder del suo token e poco più. Su Criptovaluta.it® però ci piace fare le cose per bene. E dunque siamo più che pronti a tirare le somme a poco più di 4 mesi dal giuramento di Trump come presidente degli Stati Uniti. Quanto è cambiato davvero? Quanto c’è di estetico? Quanto è soltanto per arricchire le sue tasche e quelle di chi frequenta il suo cerchio magico?
Trump, amici, nemici, Bitcoin e crypto
Non si può raccontare l’evoluzione di crypto e Bitcoin e crypto senza ricordare da dove arriviamo. Dopo aver intrattenuto rapporti cordiali con Sam Bankman-Fried, il capo di FTX (sì, l’exchange fallito con un buco miliardario), la precedente amministrazione ha fatto prevalere le istanze di Elizabeth Warren, senatrice dem autodichiaratasi a capo dell’esercito anti-crypto. Di sostanziale – e sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario – nelle accuse di Warren c’era ben poco e comunque quasi nulla un risentimento personale per carità legittimo, ma inconsueto nel Paese che è e rimarrà la prima potenza finanziaria globale.
L’atteggiamento di Warren si è tramutato in bullismo verso le banche – vedi Chokepoint 2.0 – nella chiusura di una banca che secondo i gestori è stata solo colpevole di offrire sponde al mondo crypto (pienamente legali) e in un’autentica persecuzione da parte di SEC, l’agenzia che i mercati dovrebbe vigilarli e non abbatterli per capriccio.
Nessuno qui vuole contestare che nel mondo crypto non abbiano trovato spazio delinquenti di ogni genere e risma. Da qui però a vedere SEC muovere cause pretestuose (e tesi poi puntualmente sconfessate dai tribunali) a tutto il settore, ce ne dovrebbe passare.
Ed è in questo clima che si sono tenute elezioni che hanno visto le aziende crypto schierarsi in modo compatto a favore di Donald Trump. Prima dunque di tirare fuori affinità ideologiche, sarebbe il caso di guardare alla situazione dalla quale venivamo e che per un settore che – fino a prova contraria – ha diritto di esistere, avrebbe significato morte certa se si fosse prolungato.
I miliardi dei crypto bro
Ci sono tutti, è tutto documentato, ed è tutto vero. Il sostegno alle campagne elettorali da parte delle aziende crypto è stato concreto, solido, ricco. Più ricco di qualunque altro settore. I dati sono visibili qui su OpenSecret e nessuno dotato di buon senso e di rispetto per la verità si sognerebbe mai di contestarli. Non tutti sono stati spiccatamente pro-Repubblicani. Alcuni PAC, come Fairshake, si limitano a sostenere i candidati che sono pro-crypto. Se questi sono tutti repubblicani, non è che se ne può dare la colpa al PAC in questione.
I miliardi condizionano le elezioni? Assolutamente sì. Il regime scelto tuttavia dagli USA è quello del lobbismo legale ma trasparente. Anche gli altri settori finanziano, foraggiano, spingono. E lo fanno anche quei settori finanziari tradizionali che sono stati sempre nemici giurati delle crypto. Almeno fino a questo ultimo anno.
Cosa ne hanno ricavato i crypto imprenditori?
Per ora relativamente poco. Il governo USA parla di operazione Chokepoint 2.0 terminata, ovvero della rimozione di qualunque ostacolo, visibile e invisibile, all’accesso ai servizi bancari da parte degli operatori e personaggi pubblici del settore. È un buon passo avanti (soprattutto perché l’operazione era illegale e ingiustificata), ma certamente non una svolta.
Le benedette riserve in Bitcoin e crypto: non ci saranno, o meglio, non ci saranno nella forma in cui le avevano sognate tanti investitori. Gli USA – almeno per ora – si limiteranno da accumulare i Bitcoin (e altre crypto forse) ottenuti tramite sequestro o in seguito a procedimenti legali. Nessun favore al mercato, nessun favore ai crypto bro.
Stablecoin: il favore a Lutnick che è in Tether? Abbiamo sollevato noi la questione per primi, qualcuno della stampa tradizionale ci è venuto dietro e ci ha ricamato sopra. È assolutamente vero che Howard Lutnick – segretario del Commercio – ha degli interessi diretti in Tether. È altrettanto vero però che il GENIUS ACT che stanno approvando negli USA è tutto fuorché un favore a Tether, che anzi potrebbe valutare, a parlare è il CEO Paolo Ardoino – di avere una stablecoin separata per gli USA. Alla faccia del favore, verrebbe da aggiungere. E – sempre in aggiunta – Circle in questo nuovo regime si quota in borsa. È il più grande concorrente di Tether e dunque il nemico del supposto cerchio magico al centro delle illazioni dei giornali italiani.
- Gli affari di Trump
Sono discutibili, sono irrituali per un presidente, sono assurdi per tanti (e chi vi scrive è d’accordo). Tuttavia non può essere responsabilità di un settore intero ciò che Trump decide di fare (ab)usando il suo potere. Anzi, i primi a lanciare l’allarme su certe operazioni sono stati proprio gli appassionati.
- Larry Fink fulminato sulla via di Damasco?
Verrebbe da chiedere ai giornalisti se anche Larry Fink, il capo di BlackRock nonché storicamente vicino ai democratici sia ora da ascriversi agli amici di Trump, dato che con la sua impresa sta spingendo a tutto gas su Bitcoin e crypto. Ma questo vorrebbe dire fare qualche ricerca, e Iddio ci scampi dalla fatica.