Molti di noi sono abituati a concepire le stablecoin crypto come uno strumento aggiuntivo a quello che è già un ecosistema finanziario evoluto, dove banche, carte di credito e circuiti di pagamento funzionano senza grandi intoppi. In altri Paesi però, come ad esempio quelli dell’America Latina, queste monete crypto stanno diventando un vero e proprio rifugio economico dalla crisi valutaria. Milioni di persone le utilizzano non per fare trading o per trovare un buon rendimento in DeFi, ma semplicemente per poter proteggere il proprio potere d’acquisto.
Queste perché le maggiori stablecoin sono basate sul valore del dollaro USA, che nonostante abbia perso un -11% da inizio anno, rimane comunque una risorsa forte se confrontata con monete locali soggette a iperinflazione e restrizioni sui capitali. Ed ora in questo contesto, c’è chi, come Tether, sta facendo un passo oltre, puntando a sviluppare anche l’infrastruttura digitale che sorregge questi token. Approfondiamo il discorso in questo articolo
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Spesso ci lamentiamo di come il gelato o lo snack che acquistavamo nei primi anni 2000 ora costino quasi il doppio, a causa dell’inflazione. Ma in alcuni Paesi la situazione è ben più drammatica, tanto che il rialzo dei prezzi dei beni al consumo diventa una minaccia quotidiana da affrontare ed arginare. Come? Appoggiandosi alle stablecoin, che garantiscono un valore stabile a quello del dollaro USA, anch’esso certamente non esente dall’inflazione, ma sicuramente più solido ed affidabile di molte valute locali.
Pensate che solo dall’inizio dell’anno, il bolivar venezuelano ha perso il 51% del suo valore contro il dollaro. Da anni in Venezuela ormai il denaro è diventato carta straccia: costa letteralmente di più stampare quella banconota che usarla per comprare qualcosa. Stesso discorso in Sudan del Sud dove la loro sterlina perde il 15% in 6 mesi, reduce da una svalutazione continua negli anni. Anche in Argentina il Peso non ha buone performance: -13% e -90% in 5 anni.
È chiaro che la popolazione che vive in questi Paesi in via di sviluppo deve per forza di cose organizzarsi al meglio per sopravvivere. Immagina fare dei sacrifici per mettere da parte qualche soldo, e scoprire a fine anno che quanto sudato ora vale la metà, o anche meno. A questo già dilagante problema si aggiunge anche l’assenza di infrastrutture finanziarie di base come banche e sportelli, che impediscono a molti cittadini di poter scambiare liberamente denaro o accedere a credito in tempi dignitosi.
Qualche giorno fa Paolo Ardoino, CEO di Tether, ha partecipato ad una live presso il podcast Bankless per discutere del ruolo e del futuro delle stablecoin nel mondo. Ne è uscita un interessantissima puntata in cui si è discusso di come effettivamente USDT e le altre valute crypto ancorate al dollaro USA abbiano più potenzialità di crescita nei mercati emergenti piuttosto che in quelli già sviluppati.
Questo perchè in Paesi come gli Stati Uniti o il Canada, l’efficienza finanziaria è già al 90%: ciò significa che già tutto funziona più o meno come dovrebbe. L’adozione delle stablecoin potrebbe dare un plus del 5%, ma senza stravolgere il sistema e senza che la popolazione si accorga di questo vantaggio. Nei mercati più poveri invece, con le stablecoin l’efficienza può aumentare anche del 30-40%, risultando come una vera e propria rivoluzione monetaria.
Ardoino ha anche spiegato che nel mondo vivono ben 3 miliardi di persone senza un conto corrente. Oltre a non esserci una valuta forte, non c’è nemmeno un layersu cui costruire servizi finanziari basilari. Molti sono costretti a trovare un’alternativa, laddove il sistema fiat è assente o completamente incapace di sostenere le esigenze di prima necessità. Pensate che in Turchia ed in Argentina, durante il boom dell’inflazione ( tra il 50 ed il 90%) durante la pandemia del 2020, molti si sono rifugiati su USDT per staccarsi dalla dipendenza delle valute di stato.
In risposta a queste dinamiche, Tether ha deciso di fare un passo in avanti lanciando Plasma, una blockchain dedicata proprio all’empowerment delle stablecoin nei Paesi emergenti. Si tratta di un network L1, side-chain di Bitcoin e compatibile EVM, progettato come base per gli scambi in USDT0, la versione cross-chain di USDT pensata per funzionare nativamente su più reti.
L’obiettivo dichiarato di Ardoino è quello di espandere l’accesso a USDT a livello globale, superando gli attuali 450 milioni di utenti e colmando il divario finanziario che ancora separa miliardi di persone dal mondo dell’economia digitale. Il lancio di Plasma è infatti strategico per raggiungere più facilmente zone come l’Asia, l’Africa e il LATAM, dove le stablecoin sono conosciute ed utilizzate ma su layer non proprietari, dove spesso le commissioni possono rappresentare un problema.
Plasma invece prevede una grossa novità: trasferimenti in USDT0 a zero fee, con velocità d’esecuzione quasi istantanea. Questo significa dare la possibilità a miliardi di persone che non hanno accesso a servizi finanziari, di poter scambiare una valuta simile al dollaro USA in tutto il mondo, a costo zero e con estrema rapidità. Per noi europei può sembrare un vantaggio tutto sommato discreto, che supera le barriere formali delle istituzionali, ma in quei Paesi meno fortunati, questa è un vero e proprio miracolo.
Plasma è ancora in fase di sviluppo ma dovrebbe sbarcare in mainnet entro la fine dell’annno. La società ha già raccolto $1 miliardo per lanciare un proprio token, con una vendita al pubblico durata appena pochi minuti.
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